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Improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello - Trib. di Firenze, sez. III civile

Pubblicato in data 15/11/2016

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mediazione disposta nel giudizio di appello

Nel caso di mediazione disposta nel giudizio di appello ai sensi dell'art. 5, II co. D. lgs.n.28/2010, come novellato dal D.L. n. 69/13, conv. nella L. 98/13, la locuzione "improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello", deve intendersi – interpretando detta norma in modo coerente con il sistema processuale – nel senso di improcedibilità dell'appello (e non come improcedibilità della originaria domanda sostanziale attorea); con la conseguenza che la sentenza di primo grado passa in giudicato.

La vicenda processuale

Proposta opposizione a decreto ingiuntivo, veniva proposto appello avverso la pronuncia di primo grado che aveva rilevato la tardiva iscrizione a ruolo della causa di opposizione, dichiarando (con ordinanza, avente valore sostanziale di sentenza) l'improcedibilità della stessa.

Nel giudizio d'appello, il giudice disponeva l'invio delle parti in mediazione a norma dell'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010.

Il procedimento di mediazione, però, non veniva avviato (in considerazione – alla luce di quanto cialis sans ordonnance nella specie sostenuto dai difensori delle parti – del modesto valore della lite e dell'esito negativo dei numerosi tentativi di transazione intercorsi direttamente tra le stesse).

Prima questione

Pertanto, si pone innanzitutto la questione di comprendere quale sia la conseguenza del mancato esperimento della mediazione demandata nel giudizio di appello.

Il Giudice illustra al riguardo che trova applicazione il disposto di cui all'art. 5, II co. D.Lgs. n. 28/2010 e ss.mm.ii.

In particolare, alla luce della normativa speciale sulla mediazione:

l'invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce potere discrezionale dell'ufficio che può essere esercitato "valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione ed il comportamento delle parti", anche in fase di appello (sempreché non sia stata tenuta l'udienza di precisazione delle conclusioni);
ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento "è condizione di procedibilità della domanda giudiziale" (art. 5, II co. D.Lgs. citato).
Pertanto, anche nel procedimento d'appello, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice comporta l'improcedibilità della domanda giudiziale.

Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l'emanazione di sentenza di merito.

Seconda questione

Ciò posto, si pone l'ulteriore questione di verificare quale sia l'oggetto della sanzione di improcedibilità in appello (la originaria domanda giudiziale attorea ovvero l'appello) e con quali conseguenze pratiche: in concreto, la sanzione processuale in questione riguarda direttamente la domanda sostanziale, azionata dall'attore in primo grado, ovvero l'impugnazione proposta?

Con la pronuncia in commento si afferma che l'improcedibilità colpisce l'impugnazione, con la conseguenza pratica, in armonia con i principi del processo d'appello, che il mancato esperimento della mediazione delegata in secondo grado comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Ciò sulla base delle seguenti argomentazioni:

la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice è una "forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione all'ordine del giudice";
nel giudizio d'appello non vale la regola secondo cui la parte che vede "cadere" il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la medesima domanda di merito; infatti:
l'estinzione del giudizio di appello fa passare in giudicato la sentenza impugnata (art. 338 c.p.c.);
la tardiva costituzione in giudizio dell'appellante è sanzionata con l'improcedibilità dell'appello (art. 348, I co. c.p.c.), con la conseguenza che anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato (salvo l'esperimento del ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello);
lo stesso vale per la sanzione dell'inammissibilità dell'impugnazione, se proposta dopo la scadenza dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.;
la ratio di tale disciplina risiede in ciò:

parte appellante si avvale dei rimedi previsti dall'Ordinamento per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la riforma;
è quindi posto a carico all'appellante l'onere di proporre e coltivare ritualmente il procedimento di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di impulso e gli incombenti necessari (in difetto, l'impugnazione è viziata in rito e la sentenza impugnata passa in giudicato);
argomentando diversamente (individuando quindi l'oggetto dell'improcedibilità nell'originaria domanda sostanziale proposta), si avrebbero dei risultati "abnormi" che, spiega il Giudice, sovvertirebbero i principi generali del processo:

se appellante è l'originario attore in primo grado: in caso di omesso esperimento della mediazione, si porrebbe "nel nulla una sentenza sfavorevole allo stesso appellante (originario attore) per una omissione imputabile al medesimo" (il tutto, illustra la pronuncia in commento, "con l'innegabile vantaggio di poter riproporre la medesima domanda sostanziale in nuovo giudizio di primo grado, con, di fatto, "riapertura" dei termini decadenziali assertivi e probatori e conseguimento di nuove ed ulteriori chanches di ottenere una pronuncia di merito favorevole");
se appellante è il convenuto in primo grado: "si porrebbe a carico dell'appellato l'onere di contribuire a far giungere il processo di impugnazione al suo esito fisiologico, e cioè alla rivalutazione della decisione di prime cure, attività rispetto alla quale il medesimo non ha certo interesse" (venendo così a configurare una singolare "improcedibilità postuma", "che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario idoneo al giudicato sostanziale, la sentenza di primo grado, già definitivamente emessa, ancorché sub judice").
Pertanto, la pronuncia in commento conclude come segue: "nel caso di mediazione disposta nel giudizio di appello ai sensi dell'art. 5, II co. D. lgs.n.28/2010, come novellato dal D.L. n. 69/13, conv. nella L. 98/13, e così come nella affine materia del giudizio di primo grado nella opposizione a decreto ingiuntivo, la locuzione "improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello", non può che intendersi nel senso di improcedibilità dell'appello, ovvero dell'opposizione a D.I.", con le indicate conseguenze di legge.

Ciò considerato, il Giudice dichiara nella specie l'improcedibilità dell'appello, con le indicate conseguenze di legge.

(fonte: altalex.com)

Mediazione delegata: l'istanza deve contenere tutte le domande del giudizio

Pubblicato in data 20/09/2016

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Il Tribunale di Verona con sentenza del 7 luglio 2016 affronta la questione del contenuto che deve avere l'istanza di mediazione (delegata)in relazione all'oggetto del giudizio.
Nel caso in esame, una società, quale debitrice principale, e i suoi garanti promuovevano nei confronti di una banca un'azione di indebito oggettivo, per ottenere la restituzione delle somme indebitamente incassate nel corso di un rapporto di conto corrente per aver la banca applicato interessi passivi superiori al tasso soglia e la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori.
Gli attori contestavano inoltre nel medesimo giudizio:
a) la nullità del contratto di conto corrente e l'invalidità del contratto di mutuo chirografario per mancanza di causa e contrarietà a norme imperative e per aver applicato interessi anatocistici;
b) contestualmente svolgevano azione di inibitoria della banca convenuta dalla segnalazione alla centrale rischi e domanda di risarcimento danni.

Nel corso del giudizio, il Giudice, rilevato che la causa coinvolgeva la materia dei contratti bancari, disponeva con ordinanza il tentativo di mediazione assegnando alla parte il termine di legge per l'introduzione del procedimento, nel rispetto di quanto prescritto dall'art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. 7 marzo 2010, n. 28; esperito il tentativo di mediazione con esito negativo, parte attrice produceva poi l'istanza di mediazione.

Il Tribunale, in via preliminare, dichiara l'improcedibilità di alcune delle domande proposte dalla società debitrice principale, quella di nullità del contratto di conto corrente e quella di inibitoria alla segnalazione in Centrale rischi.

In motivazione si legge che dall'istanza di mediazione "emerge che il procedimento conciliativo ha riguardato solo alcuni dei diversi titoli azionati in causa (la ripetizione degli interessi anatocistici ed usurari applicati al rapporto di conto corrente e l'accertamento della invalidità del contratto di mutuo e della clausola di esso relativa alla pattuizione di interessi usurari); il tribunale osserva che:

l'art. 4, comma 2, D. Lgs. 28/2010 richiede, al fine di assolvere la condizione di procedibilità, che siano individuate nella istanza di mediazione tutte le ragioni sottostanti alle diverse domande svolte da parte attrice, e non rileva in contrario che parte convenuta nulla abbia eccepito al riguardo né in fase di mediazione né nel corso del giudizio;
l'art. 5, comma 2, d. lgs. 28/2010 non individua un termine ultimo per il rilievo officioso del difetto della condizione di procedibilità in caso di mediazione demandata;
la improcedibilità non è invece riferibile alle domande, relative ai predetti profili, svolte dai fideiussori, atteso che, ad avviso del tribunale veneto, il contratto di fideiussione non è riconducibile alla categoria dei contratti bancari, di cui all'art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. 28/2010.

Fonte: AvvocatoAndreani.it