Osservazioni alla sentenza della Corte di Cassazione nr.8473/19 a cura del Notaio Riccardo Menchetti
Pubblicato in data 04/04/2019
La Cassazione interviene per la prima volta in tema di rappresentanza all'interno del procedimento di mediazione con la sentenza 8473 pronunciata lo scorso 6 febbraio.
Questi, in sintesi, i fatti di causa: il tentativo obbligatorio di mediazione si era svolto con il solo primo incontro a cui non avevano partecipato direttamente le parti, ma solo i loro avvocati muniti di procura. Dopo il primo incontro gli avvocati avevano comunicato al mediatore l'impossibilità di raggiungere un accordo.
Veniva quindi instaurata la causa avanti al Tribunale che ne dichiarava però l'improcedibilità, ritenendo che la comparizione personale delle parti nel procedimento di mediazione fosse elemento essenziale, non sostituibile dalla presenza dell'avvocato munito di procura speciale alle
liti. Tale decisione veniva confermata in Appello.
La Cassazione si pronuncia sulla questione confermando l'interpretazione dei giudici di merito e delimitando il confine della rappresentanza in mediazione oltre che i modi e le forme in cui tale procura debba essere rilasciata.
Preliminarmente la Corte rileva come il successo della mediazione sia riposto essenzialmente nel contatto diretto tra le parti ed il mediatore. Questa affermazione non può che essere condivisa da tutti i mediatori che, come me, avranno sicuramente sperimentato la difficoltà di pervenire ad un accordo laddove una delle parti si faccia rappresentare esclusivamente dall'avvocato.
Il compito dell'avvocato in mediazione dovrebbe infatti essere quello di “assistere” la parte e non di “rappresentarla”. Inoltre l'avvocato, per formazione e preparazione, è inevitabilmente portato a dare una lettura esclusivamente (o quanto meno, prevalentemente) tecnica e giuridica della controversia, senza poter valorizzare quelli aspetti personali ed emotivi che invece spesso si rivelano determinati nella composizione della lite.
Inoltre, uno dei punti di forza della mediazione, che spesso decisivo nel comporre la lite, è la possibilità di espanderne il contenuto. Il mediatore non è vincolato al petitum, come avviene in sede processuale, e quindi può riuscire a pervenire ad una soluzione introducendo nuovi elementi di trattativa emersi durante gli incontri. E' evidente che un rappresentante, per quanto informato e dotato di poteri, difficilmente potrà avere l'autonomia necessaria per ampliare il perimetro della mediazione, come invece potrebbe liberamente fare la parte interessata.
Ciò detto, gli ermellini riconoscono comunque che la necessità ed l'utilità della comparizione personale delle parti non sono in astratto incompatibili con una delega a terzi, in quanto non assurgono al rango di divieto alla stessa. Laddove il legislatore ha ritenuto che la partecipazione personale fosse essenziale, lo ha detto espressamente escludendo quindi la possibilità di qualsiasi sostituzione (v. artt. 231, 232 cpc).
Ammessa quindi la possibilità in astratto che una parte possa farsi sostituire anche nel procedimento di mediazione, resta il problema della forma necessaria per farlo.
A tale riguardo la pronuncia esclude che possa essere idonea una procura alle liti conferita al difensore, anche laddove contenga espresso potere di transigere o simili.
Per poter validamente delegare un terzo alla mediazione, la parte deve conferirgli tale potere tramite una procura che contenga lo specifico oggetto della partecipazione e l'espresso potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto. In altre parole, deve dare evidenza che il rappresentante è a conoscenza dei fatti e conferirgli tutti i poteri espressi per la soluzione della controversia.
Questa caratterizzazione esclude che tale procura possa essere autenticata dallo stesso avvocato, in quanto i poteri da conferire non fanno parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore.
I principi affermati, seppure in larga parte condivisibili, richiedono sicuramente una più approfondita riflessione, in particolare per determinare il “contenuto minimo” di questa procura “sostanziale”. E' facile infatti immaginare che l'esatta delimitazione di questo potere potrà dare luogo a nuovi motivi di impugnazione e contenzioso.
E' evidente che la procura non dovrà necessariamente contenere i termini dell'accordo che la parte è disposta a raggiungere e questo per due evidenti ragioni: in primo luogo perché ci troveremmo di fronte ad un nuncius più che ad un rappresentante e poi perché una procura di tal fatta non può che presupporre un accordo già raggiunto, almeno per i punti principali, e quindi possibile solo in una fase avanzata della mediazione e non al suo instaurarsi.
Ma allora, sarà sufficiente che esponga i termini e l'oggetto della controversia? Quale l'utilità di tale indicazione, visto che per questo sarebbe sufficiente il richiamo alla domanda proposta avanti all'organismo di mediazione?
Potrà essere sufficiente che il procuratore confermi di essere a conoscenza dei fatti e chiarire in modo espresso che vengono conferiti “tutti i poteri per la soluzione della controversia, disponendo di tutti i diritti oggetto della stessa” o qualcosa di simile?
Quando il mediatore potrà ritenere che l'avvocato abbia effettivamente la rappresentanza sostanziale della parte?
In ogni caso, per il conferimento della procura si dovrà ricorrere alla forma notarile e questo a prescindere dal tipo di diritti in contenzioso e dalla eventuale necessità di concludere l'accordo con un atto che comporti l'intervento obbligatorio del notaio.
Un'ultimo dubbio che mi sovviene seguendo il principio enunciato nella sentenza: qual'è il valore di tutte quelle mediazioni conclusesi negativamente in assenza di una od entrambe le parti? E di tutte le mediazioni in cui l'avvocato ha rappresentato la parte in forza di una semplice procura alle liti? Dovranno ritenersi tutte inidonee a soddisfare la condizione di procedibilità richiesta dalla legge?
Notaio Riccardo Menchetti
Mediatore ed Arbitro Media Law