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Termine della mediazione: quale la natura? [Corte d’Appello Firenze, 13 gennaio 2020 n. 65]

Pubblicato in data 20/02/2020

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Il recente intervento della Corte d’Appello di Firenze attesta come la questione relativa alla natura del termine assegnato in giudizio per introdurre il procedimento di mediazione sia tuttora dibattuta.

I giudici fiorentini, criticando la decisione di primo grado sottoposta al loro esame, hanno ritenuto di aderire all’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il predetto termine avrebbe carattere ordinatorio. La sentenza parte dal presupposto per cui la improcedibilità dell’azione non può essere dichiarata se non comminata dalla legge e, infatti, le ipotesi di improcedibilità sono tassative e non sono suscettibili di interpretazione analogica.

Come si evince dal testo normativo, è l’esperimento del procedimento di mediazione che è condizione di procedibilità dell’azione davanti al Giudice ordinario. Ora, nel caso di specie la la mediazione era iniziata solo con 15 giorni di ritardo rispetto al termine assegnato ed aveva avuto regolare sviluppo: di conseguenza, quindi, secondo la Corte, ha trovato ampio riconoscimento la ratio sottesa all’esperimento di mediazione delegata (infatti la soluzione alternativa, in funzione deflattiva, è stata percorsa anche se inutilmente).

Affermano, pertanto, i giudici di secondo grado: “Il termine di 15 giorni è ordinatorio e non perentorio perché tale non è indicato dalla legge: art. 152 II comma c.p.c. né la perentorietà si desume dallo scopo o dalla funzione esercitata dal termine, proprio perché quanto rileva non è la istaurazione, ma lo svolgimento del procedimento di mediazione: Cass. civ. Sez. II, 19/01/2005, n. 1064. Poiché i termini stabiliti dal giudice per il compimento di una atto processuale sono, ai sensi dell’art. 152 c.p.c., ordinatori, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori o la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta, ad essi non si applica il divieto di abbreviazione e di proroga sancito dall’art. 153 c.p.c. per i termini perentori”.

Proseguono, pertanto, i giudici di Firenze osservando che “Laddove interpretato come principio generale dell’ordinamento, avendo l’atto raggiunto lo scopo, la sanzione della improcedibilità non può essere pronunciata ( art. 156 III comma cpc) : la mediazione è stata iniziata con 15 giorni di ritardo rispetto al termine indicato , ma il procedimento si è iniziato e concluso e il mancato rispetto del termine non ha inciso sulla effettuazione del tentativo di mediazione.

La interpretazione fatta propria nel caso di specie dal Giudice di I grado, cozza altresì nel risultato finale ottenuto, con i principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea laddove ripetutamente afferma la compatibilità del sistema di ADR con l’ordinamento giuridico sovranazionale a patto ed a condizione che sia comunque garantito l’accesso alla giustizia statuale. La pronuncia in oggetto si sostanzia in una denegazione di giustizia non giustificato da alcun comportamento colpevole della parte”.

Per tali motivi l’appello è stato accolto e la sentenza di primo grado è stata riformata.

Corte d’Appello Firenze, 13 gennaio 2020 n. 65


iusletter.com

Mancata partecipazione dell’opponente alla mediazione obbligatoria

Pubblicato in data 08/01/2020

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Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la mancata partecipazione all’incontro di mediazione della parte opponente determina l’improcedibilità dell’opposizione promossa.

Il Tribunale di Pavia, con pronuncia del 31/10/2019 n. 1664, ha definito appunto una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, con una pronuncia in rito di improcedibilità, poiché – seppur sia stato correttamente introdotto il procedimento di mediazione obbligatoria – la parte attrice opponente non è comparsa al primo incontro di mediazione, né personalmente, né a mezzo di procuratore delegato.

Il Tribunale di Pavia ha condiviso la tesi sostenuta della giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale la condizione di procedibilità, prevista dal D. Lgs. 28/2010, trattandosi di norma imperativa a presidio del giusto processo e della sua ragionevole durata, non può ritenersi soddisfatta in caso di mancata comparizione delle parti dinanzi al mediatore.

La mancata partecipazione della parte che ha promosso la causa di opposizione assume particolare rilevanza, posto che acconsentire la prosecuzione del processo a fronte della mera applicazione di una sanzione pecuniaria significherebbe sminuire - nei fatti- la funzione cui l’istituto è demandato.

Sicché, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo e mancata partecipazione al procedimento di mediazione obbligatorio da parte dell’opponente, deve essere dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione e confermato l’opposto provvedimento monitorio.

Tribunale di Pavia, 31 ottobre 2019, n. 1664


fonte (iusletter)

La mediazione deve essere effettiva e non solo informativa ai fini della procedibilità della domanda. [Trib. Firenze sentenza n.1401/2019]

Pubblicato in data 19/06/2019

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Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 1401/2019, ha affermato che in tema di mediazione obbligatoria, ai fini dell’avveramento della condizione di procedibilità della domanda, è insufficiente la celebrazione di un mero incontro informativo delle parti, ma deve essere svolta una vera e propria attività di conciliazione effettiva.

Nel caso in esame, veniva disposto su ordine del giudice tentativo di mediazione ai sensi dell’art. 5 co II D.Lgs n. 28/2010 e in sede di primo incontro, dopo che il mediatore aveva chiarito funzioni e modalità della mediazione, l’avvocato di parte attrice aveva dichiarato l’impossibilità di iniziare la mediazione, mentre i convenuti avevano rilasciato dichiarazione positiva. Ripreso il processo, veniva eccepita dai convenuti l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento effettivo della mediazione per causa imputabile alla parte attrice.

Il giudice fiorentino, sulla scorta di alcuni precedenti di merito in questo senso, ha ritenuto improcedibile la domanda giudiziale, in quanto la parte onerata ex lege di introdurre e coltivare il procedimento di mediazione, cioè la parte attrice, pur avendo presentato rituale domanda, comparendo al primo incontro, non aveva dato corso all’effettiva procedura di mediazione, dichiarando la propria impossibilità a procedere in tale senso.

Per il giudice, infatti, il primo incontro di mediazione deve avere natura “bifasica”: la prima informativa, sulle modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva con la disamina nel merito delle questioni controverse.

Infatti, “ridurre l’esperimento del procedimento di mediazione, ai fini della procedibilità, a una mera comparizione delle parti innanzi al mediatore (per di più con la possibilità di farsi rappresentare dai propri difensori muniti di procura speciale come precisato dalla S.C.), per ricevere un’informazione preliminare sulle finalità e le modalità di svolgimento della mediazione e per dichiarare che semplicemente non c’è volontà di mediare comporta, infatti, un elevato rischio che tutto il procedimento divenga un “vuoto rituale”. Il tutto con ricadute negative anche sulla tempestiva erogazione del servizio giustizia, che di fatto potrebbe essere ostacolato dagli stessi incombenti legati alla mediazione”.

Tribunale di Firenze, 8 maggio 2019, n. 1401

Essenziale la procura speciale per la partecipazione alla Mediazione [Trib. Torino 14/4/2019]

Pubblicato in data 19/06/2019

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Il Tribunale di Torino, con la sentenza 14 aprile n. 1662, ha avuto modo di intervenire in ordine ad una fondamentale questione in tema di mediazione obbligatoria, introdotta, come ben noto, dal D.lgs. n. 28 del 2010 quale condizione di procedibilità di una vasta serie di controversie, tra cui quelle vertenti in materia di contratti bancari.

Nello specifico, riprendendo la recente pronuncia della Suprema Corte n. 8473/2019, il Tribunale ha rilevato come, sebbene la parte che non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione possa farsi sostituire da una persona a sua scelta, allo scopo di delegare validamente un terzo, deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all’art. 84).

Dunque, la parte che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi sostituire da chiunque e, quindi, anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale.

Il Giudice torinese ribadisce, quindi, che, se la parte sceglie di farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione – in quanto ciò sebbene non auspicato non è neppure vietato dalla legge –, non può attribuire tale potere con la procura conferita al difensore, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale.

Pertanto, nel caso di specie, non avendo il legale di parte ricorrente depositato alcuna speciale avente ad oggetto il procedimento di mediazione, il Tribunale ha rilevato come il tentativo di conciliazione dovesse considerarsi “tamquam non esset” con conseguente improcedibilità della domanda.

Tribunale di Torino, 14 aprile 2019, n. 1662


fonte: iusletter.com

Osservazioni alla sentenza della Corte di Cassazione nr.8473/19 a cura del Notaio Riccardo Menchetti

Pubblicato in data 04/04/2019

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La Cassazione interviene per la prima volta in tema di rappresentanza all'interno del procedimento di mediazione con la sentenza 8473 pronunciata lo scorso 6 febbraio.
Questi, in sintesi, i fatti di causa: il tentativo obbligatorio di mediazione si era svolto con il solo primo incontro a cui non avevano partecipato direttamente le parti, ma solo i loro avvocati muniti di procura. Dopo il primo incontro gli avvocati avevano comunicato al mediatore l'impossibilità di raggiungere un accordo.
Veniva quindi instaurata la causa avanti al Tribunale che ne dichiarava però l'improcedibilità, ritenendo che la comparizione personale delle parti nel procedimento di mediazione fosse elemento essenziale, non sostituibile dalla presenza dell'avvocato munito di procura speciale alle
liti. Tale decisione veniva confermata in Appello.
La Cassazione si pronuncia sulla questione confermando l'interpretazione dei giudici di merito e delimitando il confine della rappresentanza in mediazione oltre che i modi e le forme in cui tale procura debba essere rilasciata.
Preliminarmente la Corte rileva come il successo della mediazione sia riposto essenzialmente nel contatto diretto tra le parti ed il mediatore. Questa affermazione non può che essere condivisa da tutti i mediatori che, come me, avranno sicuramente sperimentato la difficoltà di pervenire ad un accordo laddove una delle parti si faccia rappresentare esclusivamente dall'avvocato.
Il compito dell'avvocato in mediazione dovrebbe infatti essere quello di “assistere” la parte e non di “rappresentarla”. Inoltre l'avvocato, per formazione e preparazione, è inevitabilmente portato a dare una lettura esclusivamente (o quanto meno, prevalentemente) tecnica e giuridica della controversia, senza poter valorizzare quelli aspetti personali ed emotivi che invece spesso si rivelano determinati nella composizione della lite.
Inoltre, uno dei punti di forza della mediazione, che spesso decisivo nel comporre la lite, è la possibilità di espanderne il contenuto. Il mediatore non è vincolato al petitum, come avviene in sede processuale, e quindi può riuscire a pervenire ad una soluzione introducendo nuovi elementi di trattativa emersi durante gli incontri. E' evidente che un rappresentante, per quanto informato e dotato di poteri, difficilmente potrà avere l'autonomia necessaria per ampliare il perimetro della mediazione, come invece potrebbe liberamente fare la parte interessata.
Ciò detto, gli ermellini riconoscono comunque che la necessità ed l'utilità della comparizione personale delle parti non sono in astratto incompatibili con una delega a terzi, in quanto non assurgono al rango di divieto alla stessa. Laddove il legislatore ha ritenuto che la partecipazione personale fosse essenziale, lo ha detto espressamente escludendo quindi la possibilità di qualsiasi sostituzione (v. artt. 231, 232 cpc).
Ammessa quindi la possibilità in astratto che una parte possa farsi sostituire anche nel procedimento di mediazione, resta il problema della forma necessaria per farlo.
A tale riguardo la pronuncia esclude che possa essere idonea una procura alle liti conferita al difensore, anche laddove contenga espresso potere di transigere o simili.
Per poter validamente delegare un terzo alla mediazione, la parte deve conferirgli tale potere tramite una procura che contenga lo specifico oggetto della partecipazione e l'espresso potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto. In altre parole, deve dare evidenza che il rappresentante è a conoscenza dei fatti e conferirgli tutti i poteri espressi per la soluzione della controversia.
Questa caratterizzazione esclude che tale procura possa essere autenticata dallo stesso avvocato, in quanto i poteri da conferire non fanno parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore.
I principi affermati, seppure in larga parte condivisibili, richiedono sicuramente una più approfondita riflessione, in particolare per determinare il “contenuto minimo” di questa procura “sostanziale”. E' facile infatti immaginare che l'esatta delimitazione di questo potere potrà dare luogo a nuovi motivi di impugnazione e contenzioso.
E' evidente che la procura non dovrà necessariamente contenere i termini dell'accordo che la parte è disposta a raggiungere e questo per due evidenti ragioni: in primo luogo perché ci troveremmo di fronte ad un nuncius più che ad un rappresentante e poi perché una procura di tal fatta non può che presupporre un accordo già raggiunto, almeno per i punti principali, e quindi possibile solo in una fase avanzata della mediazione e non al suo instaurarsi.
Ma allora, sarà sufficiente che esponga i termini e l'oggetto della controversia? Quale l'utilità di tale indicazione, visto che per questo sarebbe sufficiente il richiamo alla domanda proposta avanti all'organismo di mediazione?
Potrà essere sufficiente che il procuratore confermi di essere a conoscenza dei fatti e chiarire in modo espresso che vengono conferiti “tutti i poteri per la soluzione della controversia, disponendo di tutti i diritti oggetto della stessa” o qualcosa di simile?
Quando il mediatore potrà ritenere che l'avvocato abbia effettivamente la rappresentanza sostanziale della parte?
In ogni caso, per il conferimento della procura si dovrà ricorrere alla forma notarile e questo a prescindere dal tipo di diritti in contenzioso e dalla eventuale necessità di concludere l'accordo con un atto che comporti l'intervento obbligatorio del notaio.
Un'ultimo dubbio che mi sovviene seguendo il principio enunciato nella sentenza: qual'è il valore di tutte quelle mediazioni conclusesi negativamente in assenza di una od entrambe le parti? E di tutte le mediazioni in cui l'avvocato ha rappresentato la parte in forza di una semplice procura alle liti? Dovranno ritenersi tutte inidonee a soddisfare la condizione di procedibilità richiesta dalla legge?

Notaio Riccardo Menchetti
Mediatore ed Arbitro Media Law

[Cassazione Sentenza n. 26913/2018] Il Co.Re.Com non ha competenza esclusiva e può essere scelto diverso organismo di mediazione

Pubblicato in data 14/12/2018

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La mediazione obbligatoria in materia di telecomunicazioni può essere esperita anche presso organismi diversi dal Co.re.com. non avendo quest’ultimo competenza esclusiva.
Cassazione Sentenza n. 26913/2018.

Il fatto.
Tizio chiamava una compagnia di telefonia a partecipare ad un tentativo di mediazione innanzi all’organismo della CCIAA territorialmente competente ma senza che la compagnia convocata partecipasse. Vocava, quindi, in giudizio la società telefonica, chiedendo il risarcimento di danni a suo dire subiti. Costituitasi in giudizio la compagnia telefonica subito sollevava eccezione di improcedibilità della domanda essendo mancato il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi al competente Comitato regionale per le comunicazioni (co.re.com.).
Il Tribunale accoglieva l’eccezione come pure la Corte d’Appello. Insisteva l'utente proponendo ricorso per cassazione.
 
La questione di diritto.
L'art. 1 della legge n. 249/1997 nei suoi commi 11 e 12 così dispone:
11. L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.
12. I provvedimenti dell'Autorità definiscono le procedure relative ai criteri minimi adottati dalle istituzioni dell'Unione europea per la regolamentazione delle procedure non giurisdizionali a tutela dei consumatori e degli utenti. I criteri individuati dall'Autorità nella definizione delle predette procedure costituiscono principi per la definizione delle controversie che le parti concordino di deferire ad arbitri.".
Diverse delibere, quindi norme di carattere secondario, dell’AGCOM sono, poi, intervenute in materia.
L' art. 3 della delibera AGCOM n. 182/02 prevede che:
1.... il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all'articolo 13.
2. Ove il Co.re.com territorialmente competente non sia titolare della delega di cui al comma 1, il tentativo obbligatorio di conciliazione dovrà essere esperito dinanzi agli organi di cui all'articolo 13.
3. Il termine per la conclusione della procedura conciliativa è di trenta giorni decorrenti dalla data di proposizione dell'istanza; dopo la scadenza di tale termine le parti possono proporre ricorso giurisdizionale anche ove la procedura non sia stata conclusa.
3bis. Il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Co.re.com se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione ai sensi del comma 1.
L' art. 12 n. 1, inoltre, sancisce infine che
gli utenti hanno facoltà di esperire, in alternativa al tentativo di conciliazione presso i Co.re.com di cui alla presente sezione, un tentativo di conciliazione dinanzi agli organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo che rispettino i principi sanciti dalla raccomandazione della commissione 2001-310-CE» (disposizione con la quale la Commissione europea raccomanda agli stati membri che gli organismi designati garantiscano imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità).
Per una panoramica delle modalità di funzionamento del co.re.com vedi il sito AGCOM, alla pagina "Procedura di conciliazione".
 
La decisione.
La Corte di Cassazione si è espressa sul caso con Sentenza n. 26913 depositata in data 24/10/2018 e cassa la sentenza della Corte d’Appello.
Secondo la S.C. “un' esegesi che tendesse ad accentrare ad un solo organismo una siffatta funzione di mediazione tenderebbe a irrigidire un sistema basato sul carattere obbligatorio del tentativo di mediazione ante causam che, come tale, non implica necessariamente che alle parti non sia lasciato spazio per poter scegliere l'organismo, tra i tanti abilitati, cui rivolgersi”, e aggiunge: “sarebbe certamente contraria alla matrice volontaria della procedura alternativa di soluzione della lite, cui ogni ordinamento europeo deve ispirarsi, l'imposizione di un organismo unico preposto a sovrintendere il passaggio obbligato del tentativo di conciliazione prima dell'instaurazione della lite, come ha erroneamente ritenuto la Corte di merito”.
 
A conclusione la S.C. esprime il seguente principio di diritto:
«il carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione non implica che esso debba necessariamente svolgersi innanzi agli organismi Co.re.com, di recente istituzione, ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, essendo sufficiente che le parti si rivolgano, in via alternativa, alle camere di conciliazione istituite presso le Camere di Commercio,Industria, Agricoltura e Artigianato, o ad altri organismi che risultino muniti dei requisiti d' imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità auspicati dalla raccomandazione della Commissione europea 2001-310-CE. Pertanto, il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Co.re.com. se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione innanzi ad altri organismi abilitati ».

Di seguito il testo della Corte di cassazione, III Sez. civile, Sentenza n. 26913 dep.il 24/10/2018

RILEVATO IN FATTO
1. Con ricorso notificato il 18 dicembre 2015, il ricorrente indicato in epigrafe impugna la sentenza n. 2320/2015 della Corte d'appello di Milano, pubblicata il 28 maggio 2015, non notificata, nella parte in cui, in rigetto dell'appello avverso la sentenza emessa dal tribunale di Milano 27 maggio 2009, è stata confermata la pronuncia di improcedibilità della domanda giudiziale proposta nei confronti della compagnia telefonica qui resistente per il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale, sull'assunto che il tentativo di mediazione ante causam, previsto per legge come condizione di procedibilità, non fosse stato esperito innanzi all'organismo Co.re.com funzionalmente competente, ma innanzi alla Camera di Commercio. Il ricorso è affidato a un unico motivo. Parte resistente ha notificato controricorso.
RITENUTO IN DIRITTO
2. Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della delibera AGCOM numero 182/02 Cons. per avere la Corte d'appello ritenuto la sussistenza dell'obbligo di esperire il tentativo di conciliazione unicamente innanzi al Co.re.com, con esclusione della possibilità di adire altri organismi abilitati a scelta dell'utente, in tal modo confermando la sentenza di primo grado che ha sancito I'improcedibità della domanda.
3. Il motivo è fondato.
4. La tesi del Giudici di merito è nel senso che, finché gli organismi Co.re.com non siano stati istituiti o delegati, sussista la possibilità dì esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alle Camere di commercio, da escludersi invece una volta che i suddetti organismi siano stati istituiti. Sicché il tentativo di conciliazione esperito innanzi alla Camera di conciliazione istituita presso la competente Camera di Commercio non avrebbe soddisfatto il requisito di procedibilità previsto dalla legge per potere iniziare l'azione giudiziale contro la compagnia telefonica.
5. Ai fini dell' inquadramento della questione, è utile rammentare che la materia delle telecomunicazioni è regolata da una normativa di settore per lo più disciplinata da norme secondarie provenienti dall' Autorità garante (AGCOM) preposta a regolamentare la materia delle telecomunicazioni.
6. L'art. 1 della legge n. 249/1997 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi), nei suoi commi 11 e 12 così dispone: "11. L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione. 12. I provvedimenti dell'Autorità definiscono le procedure relative ai criteri minimi adottati dalle istituzioni dell'Unione europea per la regolamentazione delle procedure non giurisdizionali a tutela dei consumatori e degli utenti. I criteri individuati dall'Autorità nella definizione delle predette procedure costituiscono principi per la definizione delle controversie che le parti concordino di deferire ad arbitri.".
7. Il regime introdotto dalla Delibera 182/02/CONS dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, all'art. 1, comma 3, prevede che l'art. 12 dell'annesso Allegato A entri in vigore immediatamente, ancorché i Comitati regionali per le comunicazioni non siano funzionanti e, di conseguenza, il tentativo di conciliazione obbligatorio previsto dall'art. 3 dello stesso Allegato, è stato inteso come meramente facoltativo, e non obbligatorio, se svolto dinanzi agli organismi alternativi ai Co.Re.Com., fino al funzionamento effettivo di questi ultimi (Sez. 3, Sentenza n. 14103 del 27/06/2011; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 2536 del 21/02/2012).
8. Nella sua formulazione testuale, inoltre, la disposizione della legge di riferimento n. 249/1997 non si limita a prescrivere una condizione di procedibilità della domanda (v. Cass., n. 24334/2008; Cass. n. 14103/2011), ma si spinge, per chiaro dettato normativo, a regolare una fase pre-giurisdizionale (la "soluzione non giurisdizionale delle controversie"), senza con ciò interferire con la individuazione del giudice o con le regole di determinazione della competenza e dunque senza interessarsi della fase giudiziale successiva (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 17480 del 02/09/2015).
9. Sicché I' art. 3 della delibera AGCOM n. 182/02 Cons., ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, emanato in attuazione della legge n. 249/1997, prevede che « 1.... il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all'articolo 13. 2. Ove il Co.re.com territorialmente competente non sia titolare della delega di cui al comma 1, il tentativo obbligatorio di conciliazione dovrà essere esperito dinanzi agli organi di cui all'articolo 13. 3. Il termine per la conclusione della procedura conciliativa è di trenta giorni decorrenti dalla data di proposizione dell'istanza; dopo la scadenza di tale termine le parti possono proporre ricorso giurisdizionale anche ove la procedura non sia stata conclusa. 3bis. Il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Co.re.com se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione ai sensi del comma 1».
10.    L' art. 12 n. 1, inoltre, sancisce che « gli utenti hanno facoltà di esperire, in alternativa al tentativo di conciliazione presso i Co.re.com di cui alla presente sezione, un tentativo di conciliazione dinanzi agli organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo che rispettino i principi sanciti dalla raccomandazione della commissione 2001-310-CE» (disposizione con la quale la Commissione europea raccomanda agli stati membri che gli organismi designati garantiscano imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità).
11.    Orbene, la Corte di appello di Milano ha attribuito all'art. 12 sopra citato il carattere di norma transitoria, destinata a regolare il tentativo di mediazione obbligatorio sino al momento dell'effettivo funzionamento dei Co.re.com. Tuttavia la norma non si pone in questi termini di temporaneità, poiché il disposto in esame, dopo aver ribadito I'improcedibilità dell'azione giudiziaria in assenza del tentativo di conciliazione, individua gli organi competenti a tanto, precisando che, sino a quando il Co.re.com non entrerà' in funzione, tale competenza andrà attribuita agli organismi alternativi; dopo di che, saranno competenti i Co.re.com unitamente agli altri organismi alternativi (che già in precedenza lo erano in via facoltativa, v. supra Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14103 del 27/06/2011).
12.    La norma successivamente sopravvenuta mediante la delibera AGCOM n. 173/07, non solo non corrobora I'assunto fatto proprio dalla Corte territoriale ma, anzi, lo smentisce, poiché ha sancito il carattere alternativo delle competenze affidate ad altri organismi di conciliazione, all' articolo 5, con riguardo alle norme transitorie e finali, ove ha disposto che « fino alla completa attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 141, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ai fini dell'esperimento del tentativo di conciliazione le parti potranno rivolgersi, oltre che alle camere di conciliazione istituite presso le Camere di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato, agli organismi iscritti al registro di cui all'art. 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 » [Testo consolidato con le modifiche apportate con delibera n. 597/11/CONS, delibera n. 479/09/CONS, delibera n. 95/08/CONS e delibera n. 502/08/CONS].
13.    Del resto, un' esegesi che tendesse ad accentrare ad un solo organismo una siffatta funzione di mediazione tenderebbe a irrigidire un sistema basato sul carattere obbligatorio del tentativo di mediazione ante causam che, come tale, non implica necessariamente che alle parti non sia lasciato spazio per poter scegliere I'organismo, tra i tanti abilitati, cui rivolgersi. Come emerge dal considerando 13 della direttiva 2008/52, da ritenersi, nell'ambito dell'Unione europea, come normativa di riferimento in materia di ADR (Alternative Dispute Resolution), il carattere volontario della mediazione consiste, difatti, non già nella libertà delle parti di ricorrere o meno a tale procedimento, bensì nel fatto che «le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento».
14.    Nell'interpretazione data alla normativa europea cui si ispira tale istituto, assume rilevanza non tanto il carattere obbligatorio o facoltativo del sistema di mediazione scelto dal legislatore (ADR) , bensì il fatto che il diritto di accesso delle parti al sistema giudiziario sia preservato e non sia tale da pregiudicare la realizzazione dell'obiettivo della direttiva di riferimento 2013/11 (v., per analogia, sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a., C-320/08, EU:C:2010:146, punto 45). Indubbiamente, è evidente che, condizionando la procedibilità delle domande giudiziali all'esperimento di un tentativo di conciliazione obbligatorio, la normativa interna introduce una tappa aggiuntiva da superare prima di poter accedere al giudice ordinario. Tale condizione potrebbe incidere sul principio della tutela giurisdizionale effettiva anche con I'imposizione di ulteriori oneri alle parti in grado di comprimere il carattere volontario della mediazione (v., in tal senso v. Corte di Giustizia, sentenza del 14 giugno 2017 Menini e a., nella causa C-75/16, punto 52; sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a., da C-317/08 a C-320/08, EU:C:2010:146, punto 62). E pertanto è stato in varie occasioni sancito dalla Corte di Giustizia che il giudice nazionale deve vegliare affinché I'interpretazione e I'applicazione delle norme interne non snaturino detta componente volontaria e libera della soluzione della lite tramite una procedura di mediazione. Conseguentemente, sarebbe certamente contraria alla matrice volontaria della procedura alternativa di soluzione della lite, cui ogni ordinamento europeo deve ispirarsi, I'imposizione di un organismo unico preposto a sovrintendere il passaggio obbligato del tentativo di conciliazione prima dell'instaurazione della lite, come ha erroneamente ritenuto la Corte di merito.
15.    In ragione di quanto sopra deve affermarsi il principio di diritto in base al quale «il carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione non implica che esso debba necessariamente svolgersi innanzi agli organismi Co.re.com, di recente istituzione, ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, essendo sufficiente che le parti si rivolgano, in via alternativa, ad altri organismi che risultino muniti dei requisiti d' imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità auspicati dalla raccomandazione della Commissione europea 2001-310-CE. Pertanto, il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Co.re.com. se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione innanzi ad altri organismi abilitati ».
16.    Conclusivamente, la Corte cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese .
P.Q.M.
La Corte cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma , il 4 aprile 2018

fonte: professionegiustizia.it