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Osservazioni alla sentenza della Corte di Cassazione nr.8473/19 a cura del Notaio Riccardo Menchetti

Pubblicato in data 04/04/2019

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La Cassazione interviene per la prima volta in tema di rappresentanza all'interno del procedimento di mediazione con la sentenza 8473 pronunciata lo scorso 6 febbraio.
Questi, in sintesi, i fatti di causa: il tentativo obbligatorio di mediazione si era svolto con il solo primo incontro a cui non avevano partecipato direttamente le parti, ma solo i loro avvocati muniti di procura. Dopo il primo incontro gli avvocati avevano comunicato al mediatore l'impossibilità di raggiungere un accordo.
Veniva quindi instaurata la causa avanti al Tribunale che ne dichiarava però l'improcedibilità, ritenendo che la comparizione personale delle parti nel procedimento di mediazione fosse elemento essenziale, non sostituibile dalla presenza dell'avvocato munito di procura speciale alle
liti. Tale decisione veniva confermata in Appello.
La Cassazione si pronuncia sulla questione confermando l'interpretazione dei giudici di merito e delimitando il confine della rappresentanza in mediazione oltre che i modi e le forme in cui tale procura debba essere rilasciata.
Preliminarmente la Corte rileva come il successo della mediazione sia riposto essenzialmente nel contatto diretto tra le parti ed il mediatore. Questa affermazione non può che essere condivisa da tutti i mediatori che, come me, avranno sicuramente sperimentato la difficoltà di pervenire ad un accordo laddove una delle parti si faccia rappresentare esclusivamente dall'avvocato.
Il compito dell'avvocato in mediazione dovrebbe infatti essere quello di “assistere” la parte e non di “rappresentarla”. Inoltre l'avvocato, per formazione e preparazione, è inevitabilmente portato a dare una lettura esclusivamente (o quanto meno, prevalentemente) tecnica e giuridica della controversia, senza poter valorizzare quelli aspetti personali ed emotivi che invece spesso si rivelano determinati nella composizione della lite.
Inoltre, uno dei punti di forza della mediazione, che spesso decisivo nel comporre la lite, è la possibilità di espanderne il contenuto. Il mediatore non è vincolato al petitum, come avviene in sede processuale, e quindi può riuscire a pervenire ad una soluzione introducendo nuovi elementi di trattativa emersi durante gli incontri. E' evidente che un rappresentante, per quanto informato e dotato di poteri, difficilmente potrà avere l'autonomia necessaria per ampliare il perimetro della mediazione, come invece potrebbe liberamente fare la parte interessata.
Ciò detto, gli ermellini riconoscono comunque che la necessità ed l'utilità della comparizione personale delle parti non sono in astratto incompatibili con una delega a terzi, in quanto non assurgono al rango di divieto alla stessa. Laddove il legislatore ha ritenuto che la partecipazione personale fosse essenziale, lo ha detto espressamente escludendo quindi la possibilità di qualsiasi sostituzione (v. artt. 231, 232 cpc).
Ammessa quindi la possibilità in astratto che una parte possa farsi sostituire anche nel procedimento di mediazione, resta il problema della forma necessaria per farlo.
A tale riguardo la pronuncia esclude che possa essere idonea una procura alle liti conferita al difensore, anche laddove contenga espresso potere di transigere o simili.
Per poter validamente delegare un terzo alla mediazione, la parte deve conferirgli tale potere tramite una procura che contenga lo specifico oggetto della partecipazione e l'espresso potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto. In altre parole, deve dare evidenza che il rappresentante è a conoscenza dei fatti e conferirgli tutti i poteri espressi per la soluzione della controversia.
Questa caratterizzazione esclude che tale procura possa essere autenticata dallo stesso avvocato, in quanto i poteri da conferire non fanno parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore.
I principi affermati, seppure in larga parte condivisibili, richiedono sicuramente una più approfondita riflessione, in particolare per determinare il “contenuto minimo” di questa procura “sostanziale”. E' facile infatti immaginare che l'esatta delimitazione di questo potere potrà dare luogo a nuovi motivi di impugnazione e contenzioso.
E' evidente che la procura non dovrà necessariamente contenere i termini dell'accordo che la parte è disposta a raggiungere e questo per due evidenti ragioni: in primo luogo perché ci troveremmo di fronte ad un nuncius più che ad un rappresentante e poi perché una procura di tal fatta non può che presupporre un accordo già raggiunto, almeno per i punti principali, e quindi possibile solo in una fase avanzata della mediazione e non al suo instaurarsi.
Ma allora, sarà sufficiente che esponga i termini e l'oggetto della controversia? Quale l'utilità di tale indicazione, visto che per questo sarebbe sufficiente il richiamo alla domanda proposta avanti all'organismo di mediazione?
Potrà essere sufficiente che il procuratore confermi di essere a conoscenza dei fatti e chiarire in modo espresso che vengono conferiti “tutti i poteri per la soluzione della controversia, disponendo di tutti i diritti oggetto della stessa” o qualcosa di simile?
Quando il mediatore potrà ritenere che l'avvocato abbia effettivamente la rappresentanza sostanziale della parte?
In ogni caso, per il conferimento della procura si dovrà ricorrere alla forma notarile e questo a prescindere dal tipo di diritti in contenzioso e dalla eventuale necessità di concludere l'accordo con un atto che comporti l'intervento obbligatorio del notaio.
Un'ultimo dubbio che mi sovviene seguendo il principio enunciato nella sentenza: qual'è il valore di tutte quelle mediazioni conclusesi negativamente in assenza di una od entrambe le parti? E di tutte le mediazioni in cui l'avvocato ha rappresentato la parte in forza di una semplice procura alle liti? Dovranno ritenersi tutte inidonee a soddisfare la condizione di procedibilità richiesta dalla legge?

Notaio Riccardo Menchetti
Mediatore ed Arbitro Media Law

[Cassazione Sentenza n. 26913/2018] Il Co.Re.Com non ha competenza esclusiva e può essere scelto diverso organismo di mediazione

Pubblicato in data 14/12/2018

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La mediazione obbligatoria in materia di telecomunicazioni può essere esperita anche presso organismi diversi dal Co.re.com. non avendo quest’ultimo competenza esclusiva.
Cassazione Sentenza n. 26913/2018.

Il fatto.
Tizio chiamava una compagnia di telefonia a partecipare ad un tentativo di mediazione innanzi all’organismo della CCIAA territorialmente competente ma senza che la compagnia convocata partecipasse. Vocava, quindi, in giudizio la società telefonica, chiedendo il risarcimento di danni a suo dire subiti. Costituitasi in giudizio la compagnia telefonica subito sollevava eccezione di improcedibilità della domanda essendo mancato il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi al competente Comitato regionale per le comunicazioni (co.re.com.).
Il Tribunale accoglieva l’eccezione come pure la Corte d’Appello. Insisteva l'utente proponendo ricorso per cassazione.
 
La questione di diritto.
L'art. 1 della legge n. 249/1997 nei suoi commi 11 e 12 così dispone:
11. L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.
12. I provvedimenti dell'Autorità definiscono le procedure relative ai criteri minimi adottati dalle istituzioni dell'Unione europea per la regolamentazione delle procedure non giurisdizionali a tutela dei consumatori e degli utenti. I criteri individuati dall'Autorità nella definizione delle predette procedure costituiscono principi per la definizione delle controversie che le parti concordino di deferire ad arbitri.".
Diverse delibere, quindi norme di carattere secondario, dell’AGCOM sono, poi, intervenute in materia.
L' art. 3 della delibera AGCOM n. 182/02 prevede che:
1.... il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all'articolo 13.
2. Ove il Co.re.com territorialmente competente non sia titolare della delega di cui al comma 1, il tentativo obbligatorio di conciliazione dovrà essere esperito dinanzi agli organi di cui all'articolo 13.
3. Il termine per la conclusione della procedura conciliativa è di trenta giorni decorrenti dalla data di proposizione dell'istanza; dopo la scadenza di tale termine le parti possono proporre ricorso giurisdizionale anche ove la procedura non sia stata conclusa.
3bis. Il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Co.re.com se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione ai sensi del comma 1.
L' art. 12 n. 1, inoltre, sancisce infine che
gli utenti hanno facoltà di esperire, in alternativa al tentativo di conciliazione presso i Co.re.com di cui alla presente sezione, un tentativo di conciliazione dinanzi agli organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo che rispettino i principi sanciti dalla raccomandazione della commissione 2001-310-CE» (disposizione con la quale la Commissione europea raccomanda agli stati membri che gli organismi designati garantiscano imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità).
Per una panoramica delle modalità di funzionamento del co.re.com vedi il sito AGCOM, alla pagina "Procedura di conciliazione".
 
La decisione.
La Corte di Cassazione si è espressa sul caso con Sentenza n. 26913 depositata in data 24/10/2018 e cassa la sentenza della Corte d’Appello.
Secondo la S.C. “un' esegesi che tendesse ad accentrare ad un solo organismo una siffatta funzione di mediazione tenderebbe a irrigidire un sistema basato sul carattere obbligatorio del tentativo di mediazione ante causam che, come tale, non implica necessariamente che alle parti non sia lasciato spazio per poter scegliere l'organismo, tra i tanti abilitati, cui rivolgersi”, e aggiunge: “sarebbe certamente contraria alla matrice volontaria della procedura alternativa di soluzione della lite, cui ogni ordinamento europeo deve ispirarsi, l'imposizione di un organismo unico preposto a sovrintendere il passaggio obbligato del tentativo di conciliazione prima dell'instaurazione della lite, come ha erroneamente ritenuto la Corte di merito”.
 
A conclusione la S.C. esprime il seguente principio di diritto:
«il carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione non implica che esso debba necessariamente svolgersi innanzi agli organismi Co.re.com, di recente istituzione, ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, essendo sufficiente che le parti si rivolgano, in via alternativa, alle camere di conciliazione istituite presso le Camere di Commercio,Industria, Agricoltura e Artigianato, o ad altri organismi che risultino muniti dei requisiti d' imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità auspicati dalla raccomandazione della Commissione europea 2001-310-CE. Pertanto, il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Co.re.com. se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione innanzi ad altri organismi abilitati ».

Di seguito il testo della Corte di cassazione, III Sez. civile, Sentenza n. 26913 dep.il 24/10/2018

RILEVATO IN FATTO
1. Con ricorso notificato il 18 dicembre 2015, il ricorrente indicato in epigrafe impugna la sentenza n. 2320/2015 della Corte d'appello di Milano, pubblicata il 28 maggio 2015, non notificata, nella parte in cui, in rigetto dell'appello avverso la sentenza emessa dal tribunale di Milano 27 maggio 2009, è stata confermata la pronuncia di improcedibilità della domanda giudiziale proposta nei confronti della compagnia telefonica qui resistente per il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale, sull'assunto che il tentativo di mediazione ante causam, previsto per legge come condizione di procedibilità, non fosse stato esperito innanzi all'organismo Co.re.com funzionalmente competente, ma innanzi alla Camera di Commercio. Il ricorso è affidato a un unico motivo. Parte resistente ha notificato controricorso.
RITENUTO IN DIRITTO
2. Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della delibera AGCOM numero 182/02 Cons. per avere la Corte d'appello ritenuto la sussistenza dell'obbligo di esperire il tentativo di conciliazione unicamente innanzi al Co.re.com, con esclusione della possibilità di adire altri organismi abilitati a scelta dell'utente, in tal modo confermando la sentenza di primo grado che ha sancito I'improcedibità della domanda.
3. Il motivo è fondato.
4. La tesi del Giudici di merito è nel senso che, finché gli organismi Co.re.com non siano stati istituiti o delegati, sussista la possibilità dì esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alle Camere di commercio, da escludersi invece una volta che i suddetti organismi siano stati istituiti. Sicché il tentativo di conciliazione esperito innanzi alla Camera di conciliazione istituita presso la competente Camera di Commercio non avrebbe soddisfatto il requisito di procedibilità previsto dalla legge per potere iniziare l'azione giudiziale contro la compagnia telefonica.
5. Ai fini dell' inquadramento della questione, è utile rammentare che la materia delle telecomunicazioni è regolata da una normativa di settore per lo più disciplinata da norme secondarie provenienti dall' Autorità garante (AGCOM) preposta a regolamentare la materia delle telecomunicazioni.
6. L'art. 1 della legge n. 249/1997 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi), nei suoi commi 11 e 12 così dispone: "11. L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione. 12. I provvedimenti dell'Autorità definiscono le procedure relative ai criteri minimi adottati dalle istituzioni dell'Unione europea per la regolamentazione delle procedure non giurisdizionali a tutela dei consumatori e degli utenti. I criteri individuati dall'Autorità nella definizione delle predette procedure costituiscono principi per la definizione delle controversie che le parti concordino di deferire ad arbitri.".
7. Il regime introdotto dalla Delibera 182/02/CONS dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, all'art. 1, comma 3, prevede che l'art. 12 dell'annesso Allegato A entri in vigore immediatamente, ancorché i Comitati regionali per le comunicazioni non siano funzionanti e, di conseguenza, il tentativo di conciliazione obbligatorio previsto dall'art. 3 dello stesso Allegato, è stato inteso come meramente facoltativo, e non obbligatorio, se svolto dinanzi agli organismi alternativi ai Co.Re.Com., fino al funzionamento effettivo di questi ultimi (Sez. 3, Sentenza n. 14103 del 27/06/2011; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 2536 del 21/02/2012).
8. Nella sua formulazione testuale, inoltre, la disposizione della legge di riferimento n. 249/1997 non si limita a prescrivere una condizione di procedibilità della domanda (v. Cass., n. 24334/2008; Cass. n. 14103/2011), ma si spinge, per chiaro dettato normativo, a regolare una fase pre-giurisdizionale (la "soluzione non giurisdizionale delle controversie"), senza con ciò interferire con la individuazione del giudice o con le regole di determinazione della competenza e dunque senza interessarsi della fase giudiziale successiva (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 17480 del 02/09/2015).
9. Sicché I' art. 3 della delibera AGCOM n. 182/02 Cons., ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, emanato in attuazione della legge n. 249/1997, prevede che « 1.... il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all'articolo 13. 2. Ove il Co.re.com territorialmente competente non sia titolare della delega di cui al comma 1, il tentativo obbligatorio di conciliazione dovrà essere esperito dinanzi agli organi di cui all'articolo 13. 3. Il termine per la conclusione della procedura conciliativa è di trenta giorni decorrenti dalla data di proposizione dell'istanza; dopo la scadenza di tale termine le parti possono proporre ricorso giurisdizionale anche ove la procedura non sia stata conclusa. 3bis. Il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Co.re.com se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione ai sensi del comma 1».
10.    L' art. 12 n. 1, inoltre, sancisce che « gli utenti hanno facoltà di esperire, in alternativa al tentativo di conciliazione presso i Co.re.com di cui alla presente sezione, un tentativo di conciliazione dinanzi agli organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo che rispettino i principi sanciti dalla raccomandazione della commissione 2001-310-CE» (disposizione con la quale la Commissione europea raccomanda agli stati membri che gli organismi designati garantiscano imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità).
11.    Orbene, la Corte di appello di Milano ha attribuito all'art. 12 sopra citato il carattere di norma transitoria, destinata a regolare il tentativo di mediazione obbligatorio sino al momento dell'effettivo funzionamento dei Co.re.com. Tuttavia la norma non si pone in questi termini di temporaneità, poiché il disposto in esame, dopo aver ribadito I'improcedibilità dell'azione giudiziaria in assenza del tentativo di conciliazione, individua gli organi competenti a tanto, precisando che, sino a quando il Co.re.com non entrerà' in funzione, tale competenza andrà attribuita agli organismi alternativi; dopo di che, saranno competenti i Co.re.com unitamente agli altri organismi alternativi (che già in precedenza lo erano in via facoltativa, v. supra Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14103 del 27/06/2011).
12.    La norma successivamente sopravvenuta mediante la delibera AGCOM n. 173/07, non solo non corrobora I'assunto fatto proprio dalla Corte territoriale ma, anzi, lo smentisce, poiché ha sancito il carattere alternativo delle competenze affidate ad altri organismi di conciliazione, all' articolo 5, con riguardo alle norme transitorie e finali, ove ha disposto che « fino alla completa attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 141, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ai fini dell'esperimento del tentativo di conciliazione le parti potranno rivolgersi, oltre che alle camere di conciliazione istituite presso le Camere di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato, agli organismi iscritti al registro di cui all'art. 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 » [Testo consolidato con le modifiche apportate con delibera n. 597/11/CONS, delibera n. 479/09/CONS, delibera n. 95/08/CONS e delibera n. 502/08/CONS].
13.    Del resto, un' esegesi che tendesse ad accentrare ad un solo organismo una siffatta funzione di mediazione tenderebbe a irrigidire un sistema basato sul carattere obbligatorio del tentativo di mediazione ante causam che, come tale, non implica necessariamente che alle parti non sia lasciato spazio per poter scegliere I'organismo, tra i tanti abilitati, cui rivolgersi. Come emerge dal considerando 13 della direttiva 2008/52, da ritenersi, nell'ambito dell'Unione europea, come normativa di riferimento in materia di ADR (Alternative Dispute Resolution), il carattere volontario della mediazione consiste, difatti, non già nella libertà delle parti di ricorrere o meno a tale procedimento, bensì nel fatto che «le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento».
14.    Nell'interpretazione data alla normativa europea cui si ispira tale istituto, assume rilevanza non tanto il carattere obbligatorio o facoltativo del sistema di mediazione scelto dal legislatore (ADR) , bensì il fatto che il diritto di accesso delle parti al sistema giudiziario sia preservato e non sia tale da pregiudicare la realizzazione dell'obiettivo della direttiva di riferimento 2013/11 (v., per analogia, sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a., C-320/08, EU:C:2010:146, punto 45). Indubbiamente, è evidente che, condizionando la procedibilità delle domande giudiziali all'esperimento di un tentativo di conciliazione obbligatorio, la normativa interna introduce una tappa aggiuntiva da superare prima di poter accedere al giudice ordinario. Tale condizione potrebbe incidere sul principio della tutela giurisdizionale effettiva anche con I'imposizione di ulteriori oneri alle parti in grado di comprimere il carattere volontario della mediazione (v., in tal senso v. Corte di Giustizia, sentenza del 14 giugno 2017 Menini e a., nella causa C-75/16, punto 52; sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a., da C-317/08 a C-320/08, EU:C:2010:146, punto 62). E pertanto è stato in varie occasioni sancito dalla Corte di Giustizia che il giudice nazionale deve vegliare affinché I'interpretazione e I'applicazione delle norme interne non snaturino detta componente volontaria e libera della soluzione della lite tramite una procedura di mediazione. Conseguentemente, sarebbe certamente contraria alla matrice volontaria della procedura alternativa di soluzione della lite, cui ogni ordinamento europeo deve ispirarsi, I'imposizione di un organismo unico preposto a sovrintendere il passaggio obbligato del tentativo di conciliazione prima dell'instaurazione della lite, come ha erroneamente ritenuto la Corte di merito.
15.    In ragione di quanto sopra deve affermarsi il principio di diritto in base al quale «il carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione non implica che esso debba necessariamente svolgersi innanzi agli organismi Co.re.com, di recente istituzione, ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, essendo sufficiente che le parti si rivolgano, in via alternativa, ad altri organismi che risultino muniti dei requisiti d' imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità auspicati dalla raccomandazione della Commissione europea 2001-310-CE. Pertanto, il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Co.re.com. se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione innanzi ad altri organismi abilitati ».
16.    Conclusivamente, la Corte cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese .
P.Q.M.
La Corte cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma , il 4 aprile 2018

fonte: professionegiustizia.it

[Trib. Roma 12-11-2018] La mancata partecipazione del soggetto onerato determina l’improcedibilità della domanda

Pubblicato in data 12/12/2018

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Il Tribunale di Roma, in una recente pronuncia del 12 novembre scorso, si è espresso sul noto problema della mancata partecipazione personale al primo incontro della parte che ha promosso la mediazione.

La questione era stata sottoposta all’attenzione del giudice romano dal convenuto che, in sede di comparsa di costituzione, aveva eccepito l’improcedibilità della domanda attorea per non essere stata preceduta da un valido tentativo di mediazione.

Così, il Tribunale, esaminato il verbale in atti, constatandone l’esito negativo per mancata partecipazione del convenuto e, allo stesso tempo, la mancata personale comparizione degli attori, riteneva meritevole di positivo scrutinio l’eccezione di improcedibilità sollevata dal suddetto nella prima difesa.

Invero, ad avviso del giudicante “per assolvere la condizione di procedibilità, la parte che ha interesse ad assolvere tale condizione, ha l’onere di partecipare agli incontri dinnanzi al mediatore”, diversamente, nessuna conseguenza sulla procedibilità della domanda potrà aversi nel caso di mancata partecipazione della parte non onerata.

Detta partecipazione, prosegue il giudice, è un atto personalissimo della parte non delegabile se non mediante atto notarile, sicché il primo incontro di cui all’art. 5 d.lgs 28/2010 non può che riguardare anche le parti personalmente, posto che la logica dell’istituto è quella di riattivare la comunicazione fra i “litiganti” e quindi consentire loro di verificare la possibilità di una conciliazione.

Per quanto sopra premesso, il Tribunale romano, osservato che nel caso di specie aveva partecipato alla mediazione solo il difensore della parte onerata senza procura speciale notarile e che nessuna richiesta, tempestivamente a verbale, era stata avanzata per la concessione di un nuovo termine, ha considerato non avvenuta la mediazione e ha dichiarato la domanda attorea improcedibile.

Secondo il giudice di prime cure infatti “In caso di mancata partecipazione non sarebbe ragionevole ritenere applicabili le sole sanzioni previste dall’art. 8 del divo 28/10 posto che altrimenti sarebbe possibile, contro la logica dell’istituto che ha la funzione di permettere la definizione stragiudiziale della lite, poter rimuovere la condizione solo attivando il procedimento (senza che rilevi lo scopo); donde la mancata partecipazione del soggetto onerato determina l’improcedibilità della domanda”.

Tribunale di Roma, sentenza del 12 novembre 2018(leggi la sentenza)


Fonte: iusletter.com

Promozione MEDIA LAW

Pubblicato in data 06122018

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Improcedibilità della domanda, atteso il mancato esperimento del tentativo di mediazione. Trib. Belluno

Pubblicato in data 14/11/2018

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La centralità della prospettiva dirimente accordata dal procedimento di mediazione è stata oggetto di una recente pronuncia giurisprudenziale, che ne ha enfatizzato l’obbligo di legge incombente sulla parte che incardina il procedimento giudiziale.

Infatti, il Tribunale di Belluno, nel rigettare le domande attoree, ha dichiarato contestualmente l’improcedibilità delle stesse, atteso il mancato esperimento del tentativo di mediazione, sebbene lo stesso fosse stato validamente spiegato in relazione ad una un’altra domanda inerente le medesime parti.

Segnatamente, il Tribunale adito ha inteso estendere l’obbligatorietà dello strumento conciliativo di cui al D.Lgs n.28/2010, anche ai casi in cui tale obbligo non sussista in relazione a cause e domande connesse e/o collegate a quella per cui si procede.

Nel caso di specie il Magistrato ha ritenuto che la domanda di mediazione avanzata dalle parti, ma inerente ad una diversa domanda formulata dall’attrice nei riguardi della società convenuta in giudizio, non possa reputarsi idonea a superare la carenza del procedimento conciliativo, pur avendo coinvolto gli stessi soggetti.

Il Tribunale ha in tal senso osservato che: “pur dovendosi riconoscere che la domanda relativa alla simulazione del contratto non fosse soggetta alla mediazione obbligatoria, non si può escludere che per le domande in materia di affitto di azienda la parte fosse comunque chiamata ad avviare il procedimento di mediazione, prevista quale condizione di procedibilità”.

Orbene, nella pronuncia ivi in commento si desume come l’obbligatorietà di cui all’esperimento del procedimento conciliativo travalichi i limiti normativamente imposti, travolgendo anche materie e fattispecie per le quali il legislatore non ha previsto alcun obbligo di adozione del citato strumento dirimente.

Invero, il Tribunale ha inteso dichiarare l’improcedibilità delle domande formulate dall’attrice, pur in presenza dello svolgimento di un incontro di mediazione, in quanto non sufficientemente valevole a ritenere rispettato il precetto normativo in materia conciliativa.

Alla luce delle suesposte considerazioni, il Tribunale di Belluno ha dichiarato l’improcedibilità delle domande formulate da parte attrice ed ha condannato la stessa all’integrale refusione delle spese di lite.

Tribunale di Belluno, sentenza del 22 giugno 2018



Fonte: iusletter.com

Condanna per mancata partecipazione alla mediazione senza giustificato motivo

Pubblicato in data 07/11/2018

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“Il giudice (oltre a poter desumere argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c.) condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.

Questo è il principio espresso dal Tribunale di Brescia nell’ordinanza del 10 settembre 2018.

All’origine della vicenda c’è la domanda giudiziale proposta da una società di locazione finanziaria con ricorso ex art. 702 bis c.p.c.. La società convenuta eccepiva l’improcedibilità della domanda, in ragione della mancata attivazione della procedura di mediazione obbligatoria.

Il giudice, in parziale accoglimento dell’eccezione preliminare di mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, ex art. 5 comma 1-bis, d.Lgs. 28/2010, per cause in materia di contratti finanziari (rilevabile peraltro d’ufficio), assegnava al ricorrente termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

Tuttavia, alla successiva udienza, il ricorrente depositava il verbale del primo incontro dinanzi al mediatore, rilevando l’impossibilità di dare corso al tentativo a causa della mancata partecipazione – non giustificata – della parte convenuta, seppure ritualmente convocata.

Pertanto, il Giudice nell’ordinanza rileva che "non esperito il tentativo di conciliazione per mancata partecipazione del convenuto (valutabile ai fini dall’art. 8 comma 4 bis del D.Lgs. 28/10), cade logicamente l’eccezione di improcedibilità ribadita da convenuto, giacché la condizione di procedibilità si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo (art. 5 comma 2 bis)".

Si conviene che ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis D. Lgs. 28/2010 e successive modifiche, la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione consente al giudice di desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, c.p.c. e condannare la parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5, non partecipa al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Il Giudice osserva, inoltre, che la lettera dalla disposizione evidenzia “che se da un lato la valutazione ex art. 116 comma 2 c.p.c. è rimessa alla discrezionalità del giudice (“può desumere”), la condanna in favore dell’Erario è invece obbligatoria conseguenza della mancata giustificazione dell’omessa partecipazione al procedimento di mediazione, quando obbligatorio”.

Il provvedimento in esame, dunque, segue un filone giurisprudenziale consolidato presso alcuni Tribunali italiani, secondo il quale è necessaria presenza personale delle parti nell’ambito del procedimento di mediazione e l’effettivo avvio del procedimento stesso.

Tribunale di Brescia, ordinanza del 10 settembre 2018

fonte: iusletter.com