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Pubblicato in data 06-05-2020
L’Ordinanza della Suprema Corte n. 2775 del 02 febbraio 2020 si segnala per molteplici aspetti di interesse in essa contenuti, i quali, pur trattati con la consueta sinteticità che contraddistingue tali provvedimenti del giudice nomofilattico, possono ben orientare l’interprete e principalmente l’avvocato sulle possibili conseguenze di proprie scelte applicative della normativa in tema di mediazione obbligatoria e/o delegata.
La vicenda da cui originano le questioni portate all’attenzione della Suprema Corte è relativa al diritto di E.C., legale di una s.p.a. sottoposta a procedura di amministrazione straordinaria, di essere ammesso allo stato passivo per un proprio credito per compensi, in linea privilegiata ex art. 2751 bis c.c., anche per la parte relativa agli interessi maturati sui predetti crediti assistiti da privilegio.
L’avv. E.C. aveva infatti proposto ricorso ex art. 101 L.F., invocando il riconoscimento della collocazione privilegiata anche sugli interessi maturati sul compenso non corrisposto, sul presupposto dell’illegittimità costituzionale, dichiarata da Corte Cost. n. 162/2011, dell’art. 54 comma 3 L.F. nella parte in cui omette il richiamo all’art. 2749 c.c., norma estensiva appunto del privilegio sul credito, anche agli interessi su esso maturati, nei limiti ivi precisati.
Il Tribunale di Bologna, in prime cure aveva accolto la domanda del legale, ma ne aveva limitato la decorrenza in parziale accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla procedura.
Questo il motivo per cui l’avv. E.C. aveva comunque interposto appello nel corso del quale, in udienza di prima comparizione e nella successiva udienza, la Corte aveva rivolto invito alle parti ad attivare la procedura di mediazione di cui al d.lgs. 28/2010.
La mediazione non era stata introdotta e la Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 2917 del 07.02.2017, per tale ragione aveva dichiarato l’improcedibilità del giudizio di appello.
Nel proporre ricorso per cassazione avverso la decisione sfavorevole, l’avv. E.C. ha dedotto, tra altro e per quanto qui interessa, avere la Corte d’Appello violato o falsamente applicato l’art. 5 del d.lgs. 28/2010, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto l’invito ad introdurre la mediazione non sarebbe stato rivolto alle parti in modo idoneo e conforme a legge. Sia nell’invito verbalizzato in udienza di prima comparizione, sia in quello ribadito alla successiva udienza, infatti, non sarebbe stato assegnato alle parti il termine di 15 giorni per la proposizione della domanda di mediazione, quindi per l’avvio della procedura, né sarebbe stata espressamente richiamata la norma di riferimento (art. 5 d.lgs. 28/2010), né infine sarebbero state avvisate le parti sulle conseguenze della mancata ottemperanza all’invito medesimo.
Con il secondo motivo il ricorrente ha inoltre lamentato l’ulteriore profilo di violazione dell’art. 5 d.lgs. 28/2010, nonché degli artt. 183, 348, 348 bis e 350 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere erroneamente il giudice di seconde cure rilevato ex officio l’improcedibilità del gravame, in assenza di specifica richiesta della parte appellata, oltre il termine indicato dalla norma nella prima udienza di comparizione e, comunque, dopo la precisazione delle conclusioni.
La Corte tratta le due censure in esame congiunto e le rigetta per infondatezza.
• Sul termine per avviare la mediazione e sul provvedimento di delega.
In relazione al primo motivo di ricorso, essa precisa che il termine di 15 giorni per avviare il procedimento di mediazione è previsto espressamente dall’art. 5 comma 2 d.lgs. 28/2010 e, pertanto, “la sua omessa indicazione nel provvedimento di invito non è idonea a creare alcuna incertezza in capo alle parti e costituisce, al massimo, una mera irregolarità formale”.
Vale la pena riportare testualmente la norma in parola, nel testo vigente (art. 5 comma 2): “2. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”.
Il dato letterale della norma, pertanto, prevede effettivamente che il giudice assegni il predetto termine per la presentazione della domanda; ma la Cassazione, evidentemente, lo interpreta nel senso che entro 15 giorni debba essere avviato il procedimento di mediazione, non ritenendo invece l’indicazione del termine quale elemento essenziale del provvedimento giudiziale.
E’ opportuno richiamare, su tale aspetto, per quanto non direttamente attinente allo specifico motivo di ricorso, la recente giurisprudenza formatasi sulla natura meramente ordinatoria del temine dei 15 giorni.
La questione è stata sollevata più volte presso diversi Fori ed ha portato a provvedimenti decisori anche di segno opposto. Negli ultimi tempi, sembra starsi consolidando l’orientamento che valuta come non essenziale il termine di 15 giorni, indicato dall’art. 5 d.lgs. 28/2010 nei commi 1, 1 bis e 2. In questo senso, la recente sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 65 del 13.01.2020, nel riformare la decisione del Tribunale di Firenze che aveva dichiarato l’improcedibilità del processo per avere avviato le parti la mediazione oltre il termine assegnato, ha chiarito come: “Il termine di 15 giorni è ordinatorio e non perentorio perché tale non è indicato dalla legge: art. 152 II comma c.p.c. Né la perentorietà si desume dallo scopo o dalla funzione esercitata dal termine, proprio perché quanto rileva non è la instaurazione, ma lo svolgimento del procedimento di mediazione: Cass. civ. Sez. II, 19/01/2005, n. 1064”. Precisando inoltre che: “[…] i termini stabiliti dal giudice per il compimento di un atto processuale sono, ai sensi dell'art. 152 c.p.c., ordinatori, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori o la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta”.
In senso conforme, si richiama Corte Appello di Milano 04.07.2019, che significativamente precisa altresì che: “Giova sottolineare che la qualificazione del termine come ordinatorio non è decisiva ai fini della presente fattispecie, perché la dichiarazione d'improcedibilità non postula la natura perentoria del termine concesso dal giudice (come affermato dagli appellanti), ma piuttosto l'effettivo mancato esperimento della mediazione alla data dell'udienza fissata dal giudice per consentire l'avveramento della condizione di procedibilità. In altre parole, la natura ordinatoria del termine -secondo l'orientamento condiviso anche da questa Corte- è compatibile con la declaratoria d'improcedibilità nei casi, come quello di specie, di mancato effettivo esperimento della mediazione entro la data dell'udienza fissata per tale scopo. Infatti, pur ritenendo che, in considerazione della natura ordinatoria del termine, la domanda di mediazione possa essere presentata oltre il termine di quindici giorni assegnato dal giudice, è comunque necessario, per l'avveramento della condizione di procedibilità, che il primo incontro dinanzi al mediatore avvenga entro l'udienza di rinvio, fissata proprio per la verifica dell'effettivo esperimento della mediazione, a cui è subordinata la procedibilità dell'azione”.
Le sentenze appena citate, quindi, se non risolvono questioni identiche a quelle interposte nel ricorso dell’avv. E.C., consentono comunque una riflessione organica sulla necessarietà o meno del rispetto del termine di 15 giorni per l’avvio della mediazione. Può quindi concludersi che: il termine di avvio della mediazione è ordinatorio e non perentorio; esso non deve essere indicato specificamente dal giudice in caso di invito ad attivare la procedura di mediazione ex art. 5 comma 2 d.lgs. 28/2010; ove la procedura sia comunque avviata entro un diverso e maggiore termine, la mediazione è comunque utilmente svolta e, anche se fallisce, il presupposto di procedibilità ai fini del giudizio deve ritenersi assolto; se però la mediazione non viene nemmeno avviata entro la successiva udienza fissata dal giudice, si determina la situazione che può condurre ad una declaratoria d’improcedibilità del processo.
Tornando invece più specificamente sull’ordinanza della Suprema Corte in commento, ci si vuole soffermare su altro aspetto che merita una sottolineatura. L’avv. E.C. aveva contestato, tra i motivi di doglianza, che il provvedimento di invito ad avviare la mediazione non contenesse gli elementi richiamati nel Protocollo vigente presso il Foro di Bologna, sottoscritto tra il Presidente del Tribunale e l’Ordine degli Avvocati di Bologna.
In effetti, il Protocollo richiamato specifica gli elementi che dovrebbero essere presenti nel provvedimento giudiziale (tra cui l’indicazione del termine per proporre l’avvio della mediazione) ed integra le disposizioni dell’art. 5 comma 2 d.lgs. 28/2010 con ulteriori previsioni. La Corte di Cassazione dichiara l’infondatezza dell’eccezione, sottolineando “la natura non vincolante di detto atto [il Protocollo], che contiene soltanto indicazioni di massima finalizzate ad assicurare l’armonizzazione delle procedure”.
• Sul mancato avvio della mediazione e sulle conseguenze.
Non si sofferma invece, la Suprema Corte, nell’indicare specifiche ragioni per la reiezione del secondo motivo di ricorso, come detto focalizzato sulla pretesa tardività della declaratoria d’improcedibilità, dichiarata in sentenza e senza che fosse stata sollevata con eccezione dalla parte.
Il motivo è evidentemente ritenuto assorbito dai motivi espressi in ordinanza.
Per quanto qui rileva, pertanto, può concludersi che il mancato esperimento della mediazione, ove vi sia stato invito a svolgerla da parte del giudice del processo, determina comunque l’improcedibilità del successivo giudizio e può essere dichiarata anche in sentenza, pur in assenza di eccezione d’improcedibilità della parte.
Tale conseguenza appare peraltro coerente con il dettato dell’art. 5 d.lgs. 28/2010.
A nulla è valso, al riguardo, sottolineare – come ha fatto l’avv. E.C. – che la mediazione sarebbe stata inutile, attesa la nota indisponibilità delle parti a definire con conciliazione la vexata quaestio. Circostanza, quest’ultima, nella specie assai verosimile, anche considerando che la resistente era una curatela, dotata di poteri circoscritti nel concludere transazioni su richieste economiche potenzialmente incidenti sulla par condicio creditorum.
Per converso, la Corte si è avvalsa di tale sottolineatura del ricorrente, precisando come essa fosse dimostrativa del fatto che l’invito alla mediazione avesse raggiunto il proprio effetto ed avrebbe comportato, semmai il provvedimento fosse stato viziato, la sua sanatoria per raggiungimento dello scopo.
La Suprema corte ha così concluso per la reiezione integrale del ricorso e, per conseguenza, si è avuta conferma intangibile dell’improcedibilità della fase impugnatoria per non avere la parte dato corso all’invito alla mediazione espresso dal Giudice dell’appello.
A cura dell'Avv. Marco Carollo
Mediatore ed Arbitro Media Law
Pubblicato in data 20/02/2020
Il recente intervento della Corte d’Appello di Firenze attesta come la questione relativa alla natura del termine assegnato in giudizio per introdurre il procedimento di mediazione sia tuttora dibattuta.
I giudici fiorentini, criticando la decisione di primo grado sottoposta al loro esame, hanno ritenuto di aderire all’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il predetto termine avrebbe carattere ordinatorio. La sentenza parte dal presupposto per cui la improcedibilità dell’azione non può essere dichiarata se non comminata dalla legge e, infatti, le ipotesi di improcedibilità sono tassative e non sono suscettibili di interpretazione analogica.
Come si evince dal testo normativo, è l’esperimento del procedimento di mediazione che è condizione di procedibilità dell’azione davanti al Giudice ordinario. Ora, nel caso di specie la la mediazione era iniziata solo con 15 giorni di ritardo rispetto al termine assegnato ed aveva avuto regolare sviluppo: di conseguenza, quindi, secondo la Corte, ha trovato ampio riconoscimento la ratio sottesa all’esperimento di mediazione delegata (infatti la soluzione alternativa, in funzione deflattiva, è stata percorsa anche se inutilmente).
Affermano, pertanto, i giudici di secondo grado: “Il termine di 15 giorni è ordinatorio e non perentorio perché tale non è indicato dalla legge: art. 152 II comma c.p.c. né la perentorietà si desume dallo scopo o dalla funzione esercitata dal termine, proprio perché quanto rileva non è la istaurazione, ma lo svolgimento del procedimento di mediazione: Cass. civ. Sez. II, 19/01/2005, n. 1064. Poiché i termini stabiliti dal giudice per il compimento di una atto processuale sono, ai sensi dell’art. 152 c.p.c., ordinatori, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori o la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta, ad essi non si applica il divieto di abbreviazione e di proroga sancito dall’art. 153 c.p.c. per i termini perentori”.
Proseguono, pertanto, i giudici di Firenze osservando che “Laddove interpretato come principio generale dell’ordinamento, avendo l’atto raggiunto lo scopo, la sanzione della improcedibilità non può essere pronunciata ( art. 156 III comma cpc) : la mediazione è stata iniziata con 15 giorni di ritardo rispetto al termine indicato , ma il procedimento si è iniziato e concluso e il mancato rispetto del termine non ha inciso sulla effettuazione del tentativo di mediazione.
La interpretazione fatta propria nel caso di specie dal Giudice di I grado, cozza altresì nel risultato finale ottenuto, con i principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea laddove ripetutamente afferma la compatibilità del sistema di ADR con l’ordinamento giuridico sovranazionale a patto ed a condizione che sia comunque garantito l’accesso alla giustizia statuale. La pronuncia in oggetto si sostanzia in una denegazione di giustizia non giustificato da alcun comportamento colpevole della parte”.
Per tali motivi l’appello è stato accolto e la sentenza di primo grado è stata riformata.
Corte d’Appello Firenze, 13 gennaio 2020 n. 65
iusletter.com
Pubblicato in data 08/01/2020
Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la mancata partecipazione all’incontro di mediazione della parte opponente determina l’improcedibilità dell’opposizione promossa.
Il Tribunale di Pavia, con pronuncia del 31/10/2019 n. 1664, ha definito appunto una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, con una pronuncia in rito di improcedibilità, poiché – seppur sia stato correttamente introdotto il procedimento di mediazione obbligatoria – la parte attrice opponente non è comparsa al primo incontro di mediazione, né personalmente, né a mezzo di procuratore delegato.
Il Tribunale di Pavia ha condiviso la tesi sostenuta della giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale la condizione di procedibilità, prevista dal D. Lgs. 28/2010, trattandosi di norma imperativa a presidio del giusto processo e della sua ragionevole durata, non può ritenersi soddisfatta in caso di mancata comparizione delle parti dinanzi al mediatore.
La mancata partecipazione della parte che ha promosso la causa di opposizione assume particolare rilevanza, posto che acconsentire la prosecuzione del processo a fronte della mera applicazione di una sanzione pecuniaria significherebbe sminuire - nei fatti- la funzione cui l’istituto è demandato.
Sicché, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo e mancata partecipazione al procedimento di mediazione obbligatorio da parte dell’opponente, deve essere dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione e confermato l’opposto provvedimento monitorio.
Tribunale di Pavia, 31 ottobre 2019, n. 1664
fonte (iusletter)
Pubblicato in data 03/12/2019
MEDIA LAW s.r.l., Organismo di mediazione ed Ente di formazione accreditato al Ministero della Giustizia, Giovedì 12 Dicembre 2019 (dalle ore 10:00 alle ore 19:00) e Venerdì 13 Dicembre 2019 (dalle ore 9:00 alle ore 19:00) in Arezzo, via Campo di Marte n. 20, terrà il CORSO AGGIORNAMENTO BIENNALE PER MEDIATORE CIVILE E COMMERCIALE della durata di 18 ore.
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Pubblicato in data 19/06/2019
Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 1401/2019, ha affermato che in tema di mediazione obbligatoria, ai fini dell’avveramento della condizione di procedibilità della domanda, è insufficiente la celebrazione di un mero incontro informativo delle parti, ma deve essere svolta una vera e propria attività di conciliazione effettiva.
Nel caso in esame, veniva disposto su ordine del giudice tentativo di mediazione ai sensi dell’art. 5 co II D.Lgs n. 28/2010 e in sede di primo incontro, dopo che il mediatore aveva chiarito funzioni e modalità della mediazione, l’avvocato di parte attrice aveva dichiarato l’impossibilità di iniziare la mediazione, mentre i convenuti avevano rilasciato dichiarazione positiva. Ripreso il processo, veniva eccepita dai convenuti l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento effettivo della mediazione per causa imputabile alla parte attrice.
Il giudice fiorentino, sulla scorta di alcuni precedenti di merito in questo senso, ha ritenuto improcedibile la domanda giudiziale, in quanto la parte onerata ex lege di introdurre e coltivare il procedimento di mediazione, cioè la parte attrice, pur avendo presentato rituale domanda, comparendo al primo incontro, non aveva dato corso all’effettiva procedura di mediazione, dichiarando la propria impossibilità a procedere in tale senso.
Per il giudice, infatti, il primo incontro di mediazione deve avere natura “bifasica”: la prima informativa, sulle modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva con la disamina nel merito delle questioni controverse.
Infatti, “ridurre l’esperimento del procedimento di mediazione, ai fini della procedibilità, a una mera comparizione delle parti innanzi al mediatore (per di più con la possibilità di farsi rappresentare dai propri difensori muniti di procura speciale come precisato dalla S.C.), per ricevere un’informazione preliminare sulle finalità e le modalità di svolgimento della mediazione e per dichiarare che semplicemente non c’è volontà di mediare comporta, infatti, un elevato rischio che tutto il procedimento divenga un “vuoto rituale”. Il tutto con ricadute negative anche sulla tempestiva erogazione del servizio giustizia, che di fatto potrebbe essere ostacolato dagli stessi incombenti legati alla mediazione”.
Tribunale di Firenze, 8 maggio 2019, n. 1401
Pubblicato in data 19/06/2019
Il Tribunale di Torino, con la sentenza 14 aprile n. 1662, ha avuto modo di intervenire in ordine ad una fondamentale questione in tema di mediazione obbligatoria, introdotta, come ben noto, dal D.lgs. n. 28 del 2010 quale condizione di procedibilità di una vasta serie di controversie, tra cui quelle vertenti in materia di contratti bancari.
Nello specifico, riprendendo la recente pronuncia della Suprema Corte n. 8473/2019, il Tribunale ha rilevato come, sebbene la parte che non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione possa farsi sostituire da una persona a sua scelta, allo scopo di delegare validamente un terzo, deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all’art. 84).
Dunque, la parte che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi sostituire da chiunque e, quindi, anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale.
Il Giudice torinese ribadisce, quindi, che, se la parte sceglie di farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione – in quanto ciò sebbene non auspicato non è neppure vietato dalla legge –, non può attribuire tale potere con la procura conferita al difensore, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale.
Pertanto, nel caso di specie, non avendo il legale di parte ricorrente depositato alcuna speciale avente ad oggetto il procedimento di mediazione, il Tribunale ha rilevato come il tentativo di conciliazione dovesse considerarsi “tamquam non esset” con conseguente improcedibilità della domanda.
Tribunale di Torino, 14 aprile 2019, n. 1662
fonte: iusletter.com