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Pubblicato in data 20/06/2018
La Corte d’Appello di Ancona ha dichiarato l’improcedibilità della domanda giudiziale per mancato esperimento della procedura di mediazione, attesa la mancata partecipazione personale della parte al primo incontro informativo, svolto in primo grado. Il Collegio giudicante ha rilevato che, in occasione del primo incontro di mediazione tenutosi nelle more del primo grado, la parte istante non aveva partecipato personalmente all’incontro.
La Corte d’Appello rileva che ai sensi dell’art. “8 D.lgv. n. 28/2010 l’obbligo di preventiva mediazione può ritenersi osservato solo in caso di presenza personale della parte o di un suo delegato, diverso dal difensore, e non in caso di comparsa esclusivamente del difensore, posto che scopo della mediazione è quello di riattivare la comunicazione fra i soggetti in conflitto al fine di metterli nelle condizioni di verificare la possibilità di una soluzione concordata”.
Del resto, è ben possibile per il giudice di secondo grado rilevare l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione; difatti, risulterebbe del tutto “illogico che il giudice dell’appello, una volta apprezzata la nullità della pronunzia di merito di primo grado per non avere il giudicante rilevato doverosamente l’irritualità della mediazione consentendone l’eventuale sanatoria, riesaminasse il merito della domanda in difetto di rituale mediazione” e che “indipendentemente dalle doglianze delle parti , laddove essa non sia stata tempestivamente e ritualmente rilevata, non possa ritenersi precluso al giudice d’appello di apprezzarne, d’ufficio, l’ insussistenza, anche in termini di validità”
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO Dl ANCONA
SEZIONE 1 CIVILE
Riunita in camera di consiglio con l’intervento dei Sigg. magistrati
Dott. Gianmichele Marcelli – Presidente
Dott. Ugo Pastore – Consigliere est.
Dott. Pier Giorgio Palestini – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1596 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2016 e promossa
DA
……………………… APPELLANTE
CONTRO
………………………. APPELLATA
oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro n. 545/2016 del 8.7.2016 in materia di locazione
Conclusioni: vedi verbale udienza di discussione del 23.5.2017
RAGIONI Dl FATTO E Dl DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso della domanda depositato il 4.9•2015, previa inutile espletamento del procedimento di mediazione, adiva il Tribunale di Pesaro chiedendo la condanna di …….
—al risarcimento ex art. 3 commi 3 e 5 legge n. 431/1998 in misura di euro 17.532 ,pari a 36 mensilità dell’ultimo canone corrisposto, per aver alienato l’immobile di sua proprietà disdettato alla scadenza oltre i 12 mesi dal riacquisto della disponibilità .
Ritualmente costituitasi , la ……… chiedeva il rigetto della domanda sul presupposto che il termine annuale per la vendita decorresse dalla chiusura della procedura giudiziaria .
All’esito del giudizio, espletato inutilmente il tentativo di mediazione, il Tribunale rigettava la domanda e condannava l’attore alla rifusione delle spese di lite.
Avverso la sentenza proponeva appello il lamentando l’erroneo apprezzamento della decorrenza del termine annuale e dell’avvenuta contestazione della riconsegna delle chiavi dell’appartamento nonché la tardiva costituzione della convenuta in primo grado e chiedendo l’accoglimento della domanda azionata con vittoria di spese .
Si costituiva ritualmente la ……. contestando l’appello e chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
All’udienza del 23.5.2017 sulle conclusioni delle parti di cui al verbale in atti la Corte ha deciso dando lettura del dispositivo di seguito riportato.
La Corte rileva d’ufficio l’improponibilità della domanda azionata per omesso rituale espletamento della procedura di mediazione, erroneamente non apprezzato, come d’obbligo, dal primo giudice. Dal verbale dell’unico incontro fra le parti presso l’organismo di mediazione e conciliazione del Foro di Pesaro avvenuto in data 22.7.2015, si evincono infatti l’ingiustificata mancata partecipazione personale della parte istante l’assenza di qualsiasi parte del mediatore, di ottenerne la presenza.
In base all’art. 8 D.lgv. n. 28/2010 l’obbligo di preventiva mediazione può ritenersi osservato solo in caso di presenza personale della parte o di un suo delegato, diverso dal difensore, e non in caso di comparsa esclusivamente del difensore, posto che scopo della mediazione è quello di riattivare la comunicazione fra i soggetti in conflitto al fine di metterli nelle condizioni di verificare la possibilità di una soluzione concordata.
D’altro canto non avrebbe senso imporre un incontro fra i soli difensori e il mediatore per un’informativa del tutto inutile e un tentativo di conciliazione che gli stessi potrebbero attuare direttamente senza particolari formalità e inutili esborsi .
Ciò posto, la Corte, alla luce del dato letterale dell’art. 5 D.lvo n. 28/2010, ritiene che la tempestiva rilevabilità d’ufficio dell’improcedibilità per difetto di mediazione sia obbligatoria per il giudice, trattandosi di un indefettibile presupposto per l’inizio o la prosecuzione del processo (art. 5 comma I bis D.lgv. n. 28/2010: l’esperimento procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” ).
Ne deriva che, indipendentemente dalle doglianze delle parti , laddove essa non sia stata tempestivamente e ritualmente rilevata, non possa ritenersi precluso al giudice d’appello di apprezzarne, d’ufficio, l’ insussistenza, anche in termini di validità.
Infatti se da un lato l’art. 5 comma 1 D.lgv. n. 28/2010 prevede che l’improcedibilità debba essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza ( la suprema Corte con ordinanze n. 19410/2010 e 1 167/2007 si è espressa nel senso di una configurazione sostanziale e non formale del concetto di prima udienza facendo riferimento all’udienza ex art. 183 c.p.c. ), la stessa norma prevede anche che il giudice, rilevato d’ufficio il mancato valido esperimento della mediazione, assegni alle parti un termine di 15 giorni per provvedere, il che fa presumere che tale previsione di decadenza sia funzionale a sanare il vizio e non a impedirne la successiva declaratoria ai fini della procedibilità della domanda.
D’altro canto la possibilità, prevista dal comma 2 dello stesso articolo, che il giudice d’appello possa, al di fuori dei casi di obbligatorietà della mediazione previsti dal comma I bis, disporre d’ufficio l’esperimento del procedimento di mediazione – che diviene in tal caso condizione di o procedibilità della domanda anche in appello – da un lato conferma il particolare favore attribuito dal legislatore all’istituto come modalità privilegiata di risoluzione, anche in sede di gravame, di alcune controversie civili e dall’altro autorizza un allargamento, non espressamente precluso, delle possibilità per il giudice dell’impugnazione di rilevare l’ impossibilità di una pronunzia nel merito per violazione delle condizioni di legge per promuovere giudizialmente la domanda.
Diversamente opinando, ove ciò si ritenesse precluso, si verrebbe a determinare un vulnus per la stessa previsione deflattiva di obbligatorietà dell’istituto laddove le parti si accordino o di fatto addivengano ad una elusione della previsione confidando sull’omesso apprezzamento da parte del giudice del mancato esperimento o della irritualità della mediazione effettuata..
Non appare superfluo sottolineare come a conferma della portata cogente dell’obbligo di mediazione —introdotto dal legislatore per e materie espressamente previste e che non può quindi tollerare limiti di rilevabilità – militi anche la significativa previsione del comma 4 bis dell’art. 8 del D.Lgv. n. 28/2010 sulla possibilità per il giudice di sanzionare l’ingiustificata partecipazione di una parte al procedimento e di valorizzarla ex art. 116 comma 2 c.p.c. nel successivo giudizio.
Appare illogico che il giudice dell’appello, una volta apprezzata la nullità della pronunzia di merito di primo grado per non avere il giudicante rilevato doverosamente l’irritualità della mediazione consentendone l’eventuale sanatoria, riesaminasse il merito della domanda in difetto di rituale mediazione.
D’altro canto la specifica esclusione dalla previsione dell’art. 5 comma 2 richiamato delle ipotesi di mediazione obbligatoria porta a ritenere che non sia consentito al giudice del gravame sanare d’ufficio il vizio di procedibilità mettendo le parti in condizione di sanare l’omessa o irrituale mediazione .
Neanche può considerarsi ostativa di una pronunzia di improcedibilità la previsione dell’art. 101 comma 2 c.p.c. , posto che la questione rilevata d’ufficio da questa Corte è di mero diritto attinendo alle condizioni di legittimità della mediazione, e non comporta apprezzamenti di fatto tali da determinare esigenze di integrale contraddittorio fra le parti e nei confronti del giudicante.
Ciò posto, all’apprezzamento della nullità della pronunzia di primo grado e dell’improcedibilità della domanda azionata consegue l’opportunità di compensare fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio .
Infatti se virtualmente potrebbe considerarsi soccombente l’attore in primo grado per non aver ingiustificatamente partecipato personalmente alla mediazione cagionandone l’irritualità , d’altro canto la stessa parte convenuta , non manifestando disponibilità in sede di mediazione e non promuovendo tempestivamente l’ eccezione di irritualità in primo grado, ha contribuito all’elusione o sostanziale dell’obbligo di legge così manifestando un’ingiustificata indisponibilità ad un superamento concordato delle ragioni di conflitto.
PQM
La Corte, definitivamente pronunziando, in riforma dell’impugnata sentenza dichiara l’improcedibilità della domanda, compensa integralmente fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio e condanna l’appellante al versamento in misura doppia del contributo unificato.
Ancona lì, 23 maggio 2017
Il CONSIGLIERE est. Ugo Pastore
IL PRESIDENTE
Gianmichele Marcelli
fonte: mondoadr
Pubblicato in data 17/04/2018
Il testo del decreto ministeriale che modifica le tariffe della professione forense per il 2018 ha ottenuto il via libera da parte della Commissione parlamentare incaricata.
Dopo il via libera da parte del Consiglio di Stato, quindi, il DM 55/2014 con il quale vengono ridefiniti i “parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense” ottiene anche quello della II Commissione Giustizia della Camera dei Deputati che ne è stata incaricata.
A questo punto per l’entrata in vigore delle nuove tariffe non manca molto; è bene precisare però che nonostante l’approvazione la Commissione ha dato delle importanti indicazioni sullo schema ministeriale, di cui vi parleremo nel prosieguo dell’articolo.
Sono molte le novità per le tariffe degli avvocati che saranno introdotte dal decreto, anche se la più importante è sicuramente quella che introduce una specifica tabella per l’attività di negoziazione assistita e mediazione. Con lo schema emanato dal Ministero dell’Interno, quindi, gli ADR entrano a far parte, a pieno titolo, dell’elenco dei parametri professionali alla pari delle altre attività giudiziali.
Ma questa non è certo l’unica novità delle nuove tariffe avvocati del 2018; ecco una spiegazione dettagliata su cosa cambierà per la professione forense.
Nuove tariffe per mediazione e negoziazione assistita
Con il decreto del Ministero della Giustizia sono stati aggiornati i parametri per il calcolo del compenso spettante agli avvocati per le attività da loro svolte. Attività giudiziali ma non solo; come anticipato con il sopracitato decreto viene introdotta una tabella ad hoc per la mediazione e la negoziazione assistita.
Queste si dividono in tre diverse fasi e per ognuna il decreto ha previsto dei compensi specifici, a seconda del valore di riferimento (ne vengono indicati sei a seconda del valore della controversia), come possiamo vedere dalla tabella successiva:
VALORE:
- FINO ad € 1.100,00. Fase dell'Attivazione € 60,00; Fase di negoziazione € 120,00; Conciliazione € 180,00.
- Da € 1.100,01 ad € 5.200,00. Fase dell'Attivazione € 270,00; Fase di negoziazione € 540,00; Conciliazione € 810,00.
- Da € 5.200,01 ad € 26.000,00. Fase dell'Attivazione € 420,00; Fase di negoziazione € 840,00; Conciliazione € 1.260,00.
- Da € 26.000,01 ad € 52.000,00. Fase dell'Attivazione € 510,00 Fase di negoziazione € 1.020,00; Conciliazione € 1.530,00.
- Da € 52.000,01 ad € 260.000,00. Fase dell'Attivazione € 960,00 Fase di negoziazione € 1.920,00; Conciliazione € 2.880,00.
- Da € 260.000,01 ad € 520.000,00. Fase dell'Attivazione € 1.305,00 Fase di negoziazione € 2.610,00; Conciliazione € 3.915,00.
Nuove tariffe per avvocati: le altre novità.
Anche se la più importante, questa non è l’unica novità prevista dal decreto firmato dal Ministro della Giustizia.
Ad esempio, il decreto pone un freno alla discrezionalità del giudice, il quale in alcuni casi può decidere di ridurre sensibilmente il compenso previsto per l’avvocato.
A tal proposito il Ministro Orlando nell’emanare il decreto ha accolto l’appello fatto dal Consiglio Nazionale Forense il quale ha chiesto a più riprese di ridurre il potere decisionale del magistrato in sede di liquidazione; per questo motivo, nella nuova tabella è stato stabilito che i valori medi potranno essere ridotti dal giudice entro il limite del 50%. La percentuale sale al 70% per l’attività istruttoria.
Ma i compensi possono essere anche aumentati. Lo prevede la nuova tabella, la quale stabilisce che durante la fase istruttoria, qualora davanti al TAR o al Consiglio di Stato vengano proposti dei motivi aggiuntivi, il compenso dell’avvocato può aumentare fino al 50% di quanto previsto inizialmente.
Aumenti previsti anche per il legale che rappresenta più soggetti aventi la stessa posizione processuale. Nel dettaglio, il decreto porta al 30% la percentuale di aumento per ogni soggetto (prima era il 20%) e alza il limite dei soggetti per il quale è possibile aumentare la tariffa a 30 unità, rispetto alle 10 di oggi.
Infine, qualora la posizione processuale dei soggetti sia la stessa e la prestazione professionale dell’avvocato non prevede l’esame di specifiche questioni di fatto o di diritto, è discrezionalità del giudice decidere se ridurre il compenso, ma entro il limite del 30%.
Queste sono le novità più importanti che verranno introdotte una volta che il decreto sarà ufficiale; nel frattempo ecco il testo completo e le nuove tabelle, più il testo del DM 55/2014 (ancora in vigore) con il quale potete fare un confronto.
I suggerimenti della Commissione.
La II Commissione Giustizia della Camera dei Deputati nel valutare il testo del decreto ministeriale ha manifestato la propria soddisfazione per quanto stabilito dall’articolo 19 del nuovo regolamento, nel quale vengono definiti i parametri generali per la determinazione delle tariffe delle attività stragiudiziali.
Secondo la Commissione però l’articolo è ancora incompleto e per questo suggerisce l’introduzione di un comma con il quale si riconosce al legale che “depositando gli atti in modalità telematica utilizza tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione” la possibilità di aumentare le tariffe del 30%.
Quindi, qualora l’avvocato renda “navigabile” un atto grazie all’utilizzo di tecniche informatiche innovative sarebbe giusto riconoscergli un compenso maggiore di quello previsto dalle tabelle, per un incremento pari al 30%.
Perché introdurre questo incentivo? La motivazione è semplice: grazie a queste tecniche informatiche si facilita non solo la conservazione dell’atto, ma anche la consultazione da parte di terzi, accelerando così la conclusione del procedimento.
da money.it
Pubblicato in data 12/04/2018
L’obbligo dell’esperimento del tentativo di mediazione sussiste anche con riferimento al procedimento di revoca dell’amministratore.
Questo il principio espresso con l’ordinanza della Corte di Cassazione, n. 1237/2018 del 18 gennaio scorso.
Nella specie, la Suprema Corte rigettava il ricorso presentato avverso la decisione della Corte d’Appello di Palermo aderendo all’interpretazione del Tribunale per cui “la mediazione obbligatoria è applicabile anche al giudizio di revoca dell’amministratore di condominio, nonostante si tratti di procedimento in camera di consiglio” aggiungendo che “la mancata comparizione della ricorrente nell’incontro davanti al mediatore equivalesse a mancato avveramento della condizione di procedibilità”.
Il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 64 e 71 quater c.c. affermando che il decreto impugnato aveva natura di sentenza e che l’istituto della mediazione obbligatoria non fosse applicabile alla fattispecie inerente la revoca dell’amministratore in quanto decisa in camera di consiglio.
Ebbene, la Corte ha precisato come il procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore di condominio: “1) riveste un carattere eccezionale ed urgente, oltre che sostitutivo della volontà assembleare; 2) è ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore; 3) è perciò improntato a celerità, informalità ed ufficiosità; 4) non riveste, tuttavia, alcuna efficacia decisoria e lascia salva al mandatario revocato la facoltà di chiedere la tutela giurisdizionale del diritto provvisoriamente inciso, facendo valere le sue ragioni attraverso un processo a cognizione piena”.
Il decreto con cui la Corte d’Appello in sede di reclamo su provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, dichiari improcedibile la domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 , ex art. 5, pertanto, non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111 Cost., comma 7, essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi: trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, a nulla rilevando la motivazione del ritenuto ostacolo pregiudiziale all’esame della domanda giudiziale, atteso che la pronuncia di improcedibilità, comunque motivata, resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale e non impugnabile, e non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione.
Il ricorso veniva così dichiarato inammissibile e confermato così, implicitamente, quanto statuito dalla Corte d’Appello di Palermo.
Cass., Sez. VI – 2 Civ., 18 gennaio 2018, n. 1237
Pubblicato in data 09/04/2018
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Pubblicato in data 04/07/2017
La recentissima pronuncia del Tribunale di Grosseto, oltre ad affrontare il controverso tema dell'onere di attivazione della mediazione obbligatoria nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, sposando la tesi che grava sul creditore opposto l'onere di avvio della procedura di mediazione (con conseguente revoca del decreto in caso di inerzia), si spinge fino a valutare le modalità in cui può dirsi correttamente esperito il procedimento di mediazione.
La peculiarità del procedimento di ingiunzione e della successiva ed eventuale fase a cognizione piena ha generato notevoli difficoltà di coordinamento con la procedura di mediazione.
Invero, ai sensi dell'art. 5, comma 1 bis del D.lgs n 28/2010, chiunque "intende esercitare in giudizio una azione" fra quelle tassativamente indicate nel prosieguo della norma (tra cui i contratti bancari, come nel caso della pronuncia in commento) è tenuto ad esperire preventivamente al giudizio, pena l'improcedibilità del medesimo, un tentativo di mediazione.
Il decreto si è altresì occupato di coordinare il tentativo obbligatorio di mediazione con altre esigenze, come celerità ed urgenza.
In particolare, con riferimento al procedimento di ingiunzione, l'art. 5, comma 4°, lett. a), prevede che la disciplina della mediazione obbligatoria non si applichi per tutta la prima fase, di natura sommaria, ritornando ad operare una volta che il giudice abbia deliberato sulla richiesta di concessione (non accordata nella fase precedente), ovvero di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto opposto.
Pur essendo evidente la ratio sottostante alla accennata scissione – ovvero l'esigenza di salvaguardare l'effettività della fase monitoria, caratterizzata da una certa speditezza anche per il fatto di venir celebrata inaudita altera parte – tuttavia i caratteri del successivo processo a cognizione piena, rendono particolarmente difficoltosa l'individuazione della parte tenuta ad attivare il cialis pas cher percorso stragiudiziale: come noto, infatti, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo attore sul piano processuale è il debitore, convenuto in senso sostanziale, mentre l'attore in senso sostanziale, ovvero il creditore che chiesto ed ottenuto l'emissione del decreto, assume in questa sede le vesti di convenuto sul piano processuale.
Il capovolgimento formale di ruoli ha ingenerato una netta contrapposizione, all'interno della giurisprudenza di merito, fra coloro che ritengono onerato dell'attivazione del momento stragiudiziale il debitore, attore in senso formale nel giudizio di opposizione, e chi affida invece il relativo compito al creditore, che di fatto ha scelto di "esercitare in giudizio una azione".
Il Tribunale di Grosseto con la recente pronuncia consolida un orientamento, che già aveva espresso in passato (Sentenza n 459/2016), onerando il convenuto opposto all'attivazione della mediazione, con la conseguenza che ad un'eventuale pronuncia di improcedibilità seguirà la revoca del decreto ingiuntivo previamente emesso.
Più che condivisibile, a parere di chi scrive, è la tesi seguita dal Tribunale di Grosseto con la pronuncia in esame in quanto il procedimento di ingiunzione, sebbene distinto in due diverse fasi, deve essere considerato, così come peraltro affermato più volte dalla Suprema Corte un unicum: ed il giudizio di opposizione costituisce l'eventuale e naturale prosecuzione del processo nella forma della cognizione piena ove valutare la fondatezza della pretesa azionata dal creditore opposto, la quale dunque costituisce l'oggetto, ma anche il limite (in assenza di domande riconvenzionali) del successivo momento procedimentale. In quest'ottica, quindi, il soggetto che "esercita (...) in giudizio una azione", secondo la dizione fornita dall'art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, non può che essere individuato nel creditore opposto, essendo colui che ha a tutti gli effetti attivato il procedimento con la propria domanda introduttiva (pur nella forma monitoria).
La pronuncia in commento riveste particolare importanza per quanto attiene poi alle modalità in cui deve svolgersi la mediazione.
Al riguardo giova ricordare che le modifiche apportate con il c.d. decreto del fare alla disciplina originaria hanno sostanzialmente diviso il procedimento in due momenti distinti: un primo incontro – c.d. "filtro" – ove il mediatore, dopo aver chiarito finalità, modalità e tempi della mediazione, "invita le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione" (art. 8 D.Lgs. n. 28/2010).
Il Tribunale di Grosseto ha chiarito la necessità di un esperimento sostanziale della mediazione, oltre il primo incontro informativo, sanzionando con l'improcedibilità il comportamento della convenuta opposta, che nel caso di specie aveva ottemperato all'onere sulla stessa gravante di esperire la procedura di mediazione solo formalmente: "Ritiene questo Tribunale che parte opposta con la propria condotta non abbia dato effettiva esecuzione all'ordinanza su richiamata, avendo partecipato solo alla fase preliminare ed essendosi limitata ad un mero adempimento formale dell'onere posto a suo carico".
Sul punto peraltro si è ormai consolidato un orientamento (conforme anche nel tribunale fiorentino) secondo cui la disposizione in esame debba essere intesa, per quanto concerne le fattispecie "obbligatorie" e specialmente per la mediazione delegata, come partecipazione concreta, effettiva e personale alla mediazione, oltre il primo incontro informativo.
La condizione di procedibilità elaborata dal legislatore deve intendersi – secondo l'elaborazione del Tribunale di Grosseto, da alcuni anni particolarmente sensibile al rispetto della mediazione e dei suoi caratteri,come momento di valutazione concreta e preventiva del conflitto per chiunque intenda esercitare (nelle materie indicate nel D.Lgs. n. 28/2010) un'azione in giudizio.
Se ciò vale per ogni procedimento attivato "in via ordinaria", eadem ratio deve trovare applicazione a maggior ragione nella fattispecie monitoria, ove chi agisce non ha attivato il percorso stragiudiziale ed ha addirittura ottenuto un titolo inaudita altera parte;
Tale valutazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo secondo il Tribunale di Grosseto è rimessa al creditore, che di fatto ha attivato la tutela giurisdizionale e deve concretamente esperire la procedura di mediazione, pena l'improcedibilità della domanda e la revoca del decreto ingiuntivo opposto.
Avv. Serena Iazzetta
Mediatore Media Law
Pubblicato in data 28/06/2017
La sentenza in commento rappresenta la prima pronuncia resa da una Corte di Appello sulla questione assai dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza circa la natura, perentoria oppure ordinatoria, del termine di avvio del procedimento di mediazione.
La Corte d'Appello ambrosiana si discosta dalla tesi della perentorietà del termine di avvio (tesi- lo ricordiamo- fatta propria da alcuni Tribunali. Si vedano per esempio: Trib. Firenze, 9 giugno 2015 e successivamente Trib. Napoli Nord 14 marzo 2016) , chiarendo, al contrario, la natura ordinatoria del termine per l'avvio della procedura di mediazione. La Corte chiarisce, dunque, che la ritardata presentazione dell'istanza per l'avvio della mediazione, una volta che il tentativo di mediazione è stato esperito (seppur con esito negativo) non comporta l'improcedibilità del giudizio (né tantomeno produce, nel caso di specie, effetti decadenziali per l'opposizione a decreto ingiuntivo). Nel giudizio di appello si dovrà, dunque, procedere all'istruttoria non svolta in primo grado, al fine di giungere così ad una decisione sul merito.
Il giudice di primo grado (Trib. Monza , sent. N. 156 del 21 gennaio 2016) aveva dichiarato l'improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per mancato esperimento del tentativo di mediazione nel termine assegnato dal G.I. (quindici giorni) e, per l'effetto, aveva confermato il decreto ingiuntivo opposto.
Il giudizio, in effetti, prendeva le mosse da un decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto da un istituto di credito nei confronti del fideiussore di una s.a.s. , il quale aveva proposto opposizione disconoscendo la firma apposta sulla garanzia prodotta in sede monitoria dalla banca ricorrente. La causa non era stata istruita e si era conclusa con il rigetto dell'opposizione promossa dal fideiussore, in quanto quest'ultimo aveva dato avvio al procedimento di mediazione oltre il termine di giorni quindici concesso dal G.I.
Il giudice di prime cure aveva ritenuto il procedimento di mediazione espletato (conclusosi con esito negativo) non sufficiente ai fini dell'esperimento della mediazione quale condizione di procedibilità per le controversie di cui all'art. 5, comma 1 bis d.lgs. 28/2010 e successive modificazioni ; ciò in considerazione del fatto che la natura perentoria del termine avrebbe imposto perlomeno una richiesta di proroga dello stesso da parte dell'attore in opposizione.
Tale decisione era stata presa sulla base di quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 24629 del 2015.
La Corte di Appello meneghina , nell'esaminare la prima questione sottoposta dall'appellante concernete l'improcedibilità della controversia per tardivo esperimento del tentativo di mediazione, evidenzia come la sentenza n. 24629/2015 della Corte di Cassazione, non sia rilevante nel caso in cui si discuta in merito al preteso mancato rispetto da parte del debitore opponente del termine di quindici giorni indicato dal giudice per instaurare quale procedimento. La sentenza richiamata dal giudice di primo grado concerne, al contrario, la distribuzione degli oneri tra le parti di un giudizio di opposizione circa l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, e, come noto, ha posto a carico del debitore opponente l'onere di attivare detta procedura.
Il giudice di secondo grado ritiene di non poter applicare al termine assegnato dal G.I. per l'esperimento del procedimento di mediazione il disposto di cui all'art. 154 c.p.c. ; lo spirare di detto termine non avrebbe potuto, invero, condurre il giudice di prime cure a ritenere necessaria una richiesta di proroga, la quale avrebbe avuto quale unico effetto quello di procrastinare ulteriormente i tempi.
La Corte di Appello di Milano , nel giungere a ritenere ordinatorio il termine di avvio del procedimento di mediazione, sottolinea come nessuna norma di legge attribuisca natura perentoria a detto termine. Nella normativa che disciplina la mediazione vi è, come noto, un solo termine cui la legge accorda il carattere di termine perentorio: si tratta della previsione di cui all'art. 6, comma 1, d.lgs. 28/2010 , come modificato dalla L. 98/2013.
Inoltre, poiché l'esperimento del tentativo di mediazione vale come condizione di procedibilità dell'azione che è sottoposta solamente ai termini di legge (prescrizione e decadenza per la proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo) , sarebbe del tutto incoerente ritenere tale termine perentorio, andando così ad incidere pesantamente sulle norme che disciplinano la mediazione.
Un'interpretazione in senso diverso, e cioè a favore della natura perentorio del termine di avvio del procedimento di mediazione, creerebbe, inoltre, un vulnus nella stessa legge di mediazione comunitaria: che disciplina la mediazione. La legislazione nazionale, pur prevista dal legislatore italiano quale condizione di procedibilità per le liti di cui all'art. 5, comma 1 bis , d.lgs. 28/2010 e successive modificazioni, "rimane pur sempre una disciplina orientata ad incentivare soluzioni delle controversie pacifiche e alternative alla giurisdizione , senza un'eccessiva compromissione del diritto di agire, il quale non potrebbe essere impedito frapponendo ulteriori ostacoli temporali o decadenze processuali incompatibili con il principio del giusto processo e con il diritto di libero accesso alla giustizia , di matrice costituzionale e convenzionale" .
In conclusione, ad avviso della corte milanese, si deve propendere per ritenere il termine per l'attivazione del procedimento di mediazione ordinatorio , sulla base del fatto che la legge non prevede il detto termine come termine processuale e che la mediazione non è assimilabile ad un giudizio ordinario, ma rappresenta uno strumento alternativo per la risoluzione di controversie vertenti su diritti disponibili. Pertanto, lo spirare di spirare di un termine finalizzato a disciplinare un procedimento che si pone quale procedimento alternativo a quello giurisdizionale non può essere produttivo di effetti processuali, che sono regolati da norme che sono riferibili solamente al giudizio ordinario.
Avv. Irene Andolfi
Mediatore Media Law s.r.l.